E' sorprendente, e nello stesso tempo comico, notare come molti degli insegnamenti ricevuti dal popolo elfico siano tutt'ora presenti nella mia mente a condizionare alcuni modi di pensare. Ad esempio, dando uno sguardo alle parole scritte fino ad ora nella loro totalità, non ho potuto fare a meno di domandarmi se un ipotetico lettore possa trovare il "racconto" come frammentato e privo di una coerenza temporale. Un elfo avrebbe trascritto gli eventi nell'esatto ordine in cui sono accaduti, avendo cura di descrivere con minuzia ogni dettaglio così che il lettore potesse materializzare nella propria mente quanto stava leggendo e arrivare quasi a viverlo e vederlo attraverso gli occhi dello scrittore. Immagino quindi che gli Elfi possano vantare certamente gli storici più abili di tutto il mondo…ma io non sono un elfo. E il lettore di queste memorie per ora non sono che io medesimo.
Ma le parole sono destinate a perdurare anche quando gli uomini non divengono che cenere e polvere, e ricordi nei cuori e nelle menti dei loro cari che tornano a salutarli ai loro sepolcri, e anime e coscienze rivendicate dagli dei che hanno adorato e da questi condotti a trascorrere l'eternità nelle loro meravigliose e sempreverdi dimore. Forse un giorno mia figlia leggerà questo diario…che idea si farà dell'uomo che ha deciso di chiamare Padre?
Ammetto invero: soltanto l'estrema lontananza nel tempo di questo evento contribuisce a sopire questa mia piccola paura. Chi non rischierebbe di non sentirsi all'altezza quando qualcun altro mette la propria vita nelle sue mani senza condizione alcuna e con una cieca fiducia?
La Costa della Spada è stata certamente il luogo più strano in cui mi sia ritrovato a vivere. Posso a buon diritto affermarlo pur avendo vissuto unicamente a Rashemen come alternativa. Ho detto molte volte che quella parte di mondo è nata con un atroce destino scritto, ossia quello di non dover mai vedere la propria gente vivere in pace, e adesso, ripensando a quanto veduto e vissuto lì, posso esserne sempre più convinto.
La sua storia cominciò certamente meglio di come sta finendo, dal momento che quella terra ha per lungo tempo visto il fiorire dell' Impero di Illefarn, una grande corte elfica che governò migliaia di anni fa e che prosperò nella magia, nella pace, nell'arte e nella musica. Era un periodo florido per il Popolo Fiero, che creava città e regni ovunque nel mondo e che vedeva la sua armonia dominare quasi ogni luogo. Se si va a scavare profondamente nel passato si può scoprire che ogni luogo della Costa della Spada aveva un nome nella lingua degli Elfi prima che gli Uomini ci mettessero piede.
Invero vi furono due imperi di Illefarn, esistiti a breve distanza nel tempo. Lo splendore degli elfi, per quanto radioso e a tratti accecante se guardato con gli occhi di un uomo, non era destinato a durare per sempre. Il Popolo Fiero venne dilaniato da quasi cinquemila anni di guerra e molto…moltissimo fu il sangue versato in quel periodo nero delle loro cronache, noto come "le Guerre della Corona". E' loro parola che Corellon in persona, sovrano di tutti i Seldarine e padre creatore degli elfi, dovette lasciare il suo trono in Arvandor per porre fine al conflitto. Eppure il danno era ormai fatto e il Popolo Fiero iniziò la sua "ritirata" da Faerun per trovare rifugio nel regno insulare di Evermeet, tutt'ora loro grande roccaforte. Tra i pochi baluardi della loro civiltà restò la Seconda Illefarn, un impero forgiato da un'alleanza tra gli Elfi del bosco di Ardeep e i Nani di Dardath. Elfi e Nani insieme…una strana unione che è raro, se non impossibile, trovare ai giorni d'oggi. Non so se sia stato più questo fattore a contribuire allo sfaldamento dell'Impero, o se abbia contribuito maggiormente la minaccia del crescente potere di Netheril a est, o le invasioni orchesche delle Guerre dei Portali o, se più semplicemente, gli elfi avessero fatto il loro tempo. Syglaeth Audark, ultimo Coronal di Illefarn, comandò alla sua gente di unirsi alla "ritirata" e di trovare dimora ad Evermeet.
Eppure è curioso notare come nonostante la loro era fosse giunta al termine, fu proprio un elfo a dare inizio al dominio degli Uomini sulla Costa della Spada. La città che ora chiamano Neverwinter ebbe come lord fondatore Halueth Never, che ne fu primo Re, e anche ai giorni d'oggi svolge un ruolo importante…secondo alcuni almeno.
Per quel che riguarda me credo di aver provato un minimo di stima soltanto per il perduto sovrano della città, Nasher Alagondar. Un valente guerriero di fede lo descrivevano molti, e incredibilmente abile a riscuotere stima e considerazione. Perse la vita durante una sanguinosa battaglia durata quasi sessanta giorni e sessanta notti, e svoltasi tanto sulla terra quanto sul mare. Alcune forze demoniache assediarono la città e, sebbene sconfitte e respinte, finirono per consumare l'animo e il morale degli abitanti. Io vissi molto di più vicino ad una Neverwinter popolata da uomini senza coraggio. Difficile persino definirli uomini per me. E meno di tutti il loro sovrano, chiamato Agenore Quinland, un mercante e cantore salito troppo in alto, che avrebbe dovuto restare relegato alla sua carovana e alla sua lira. La sua reggenza trasformò Neverwinter da una città di sapienti e di cavalieri in una città di decadenti e sedicenti artisti, prostitute e assassini. Gli stessi nobili di cui si circondava tramavano contro di lui e non nego di aver sperato, di tanto in tanto, che riuscissero a toglierlo di mezzo o a farlo cadere in disgrazia. Non sono mai riuscito a passare più di uno o due giorni in quel luogo. Mi sentivo soffocare e ancor di più mi soffocava la mancanza di carattere delle persone che vi abitavano. Preferivo trascorrere il mio tempo lì dove fui catapultato: nel bosco.
Se la Costa della Spada è un luogo burrascoso, il bosco lo è certamente molto oltre la media di ogni altro luogo. Sin dai primi momenti della mia permanenza notai che era una sorta di terra di nessuno, con molte persone che professavano una libertà assoluta ma che, nel contempo, hanno sempre cercato di divenirne i signori incontrastati.
In principio io e altri guardiaboschi, e alcuni druidi, ci unimmo per tentare di difendere la foresta contro i pericoli che la affliggevano. Ma evidentemente gli scopi di alcuni non erano i medesimi del gruppo. I druidi, ad esempio, ritenevano che dovessero essere loro a dominare su ogni cosa e ogni persona, arrivando persino a pretendere indiscusso rispetto e riverenze. Rispetto sulla scorta di cosa? Per il solo fatto di aver appreso dei rudimenti di magia per far crescere le piante più in fretta o per evocare qualche animale? Che rispetto devo a chi, nel momento del bisogno, si nascondeva o fuggiva? Esiste una parola per definire gente simile: codardi. Quale rispetto un guerriero deve a un codardo?
E' pesante per me, nonché inutile, scrivere di quanto feci in compagnia di quelle persone. Alcune erano di indubbio valore, questi si, ma dopo la resa dei conti con Bordug il gruppo si sfaldò…e forse fu meglio così perché presto o tardi saremmo implosi comunque. Ancor ora ho conservato un gran disprezzo per i druidi. E in tutta franchezza…non credo che passerà.
Cosa fecero gli altri non lo seppi e non volli saperlo. Per quanto riguarda me, trovai per qualche tempo dimora alla Cittadella di Helm. Gli dei sapevano se quei soldati avessero bisogno di una mano esperta per comprendere da che parte impugnare una spada…
Fu la mia neonata amicizia con gli Elfi a far sì che io rimettessi piede nella foresta. Dopo la morte di Nailean, la Casa dei Mraerital rischiò di sfaldarsi per sempre, ma con l'arrivo di Akhelaytas, oracolo di Corellon Larethian, gli eventi presero una piega inaspettata. Alcuni elfi guidati da lui trovarono un antico Portale del Canto, ossia una sorta di porta magica usata dagli abitanti di Illefarn per spostarsi in altri luoghi. Giunsero alle rovine di Caras Narbeleth, che tradotto in lingua comune significa "la dimora del tramonto", dove liberarono gli eredi dell'ultimo Coronal dell'Impero. Venne così fondata Everantha, la prima comunità elfica nella Costa dopo la ritirata, e venne eretto il castello di Naitheraska per fungere da baluardo difensivo. Lì io e Rannik ci trasferimmo,e assunsi il compito di guidare e addestrare gli elfi che avessero voluto difendere la loro gente con le armi. Il cielo mi perdoni…avranno anche una lunga tradizione di spada ma non sono proprio fatti per combattere! E come se non bastasse sono estremamente restii ad imparare da chiunque non sia un elfo, ma pazienza. Paradossalmente il più aperto al dialogo era proprio Akhelaytas, ragione per cui finì per diventare il più grande amico che avessi lì dentro, ma non l'unico per fortuna.
Tra di essi c'era anche un'altra persona a cui mi trovai molto legato. Rannik la adorava, senza mezze misure. Si chiamava Elanor ed era una barda, molto abile nella sua arte anche se non si riteneva quasi mai all'altezza delle situazioni in cui si trovava. La ricordo quasi sempre così…insicura, timida, spesso con un'espressione triste sul volto, certamente frutto di ricordi scomodi di un passato che non riusciva a dimenticare. Eppure, una volta abbattuta quella sua barriera di diffidenza, scoprii una persona davvero molto gradevole, gentile e solare. Una vera sorpresa insomma.
Passavo molto tempo in sua compagnia. Per la verità lei passava il tempo nella vana speranza di potermi insegnare a scrivere (allora non sapevo neppure prendere in mano una penna!), e io nella vana speranza di poterle insegnare a tirare con l'arco. Così come non tutti nascono per essere poeti o letterati, è vero che non tutti nascono per essere combattenti e lei rientrava certamente in questa seconda categoria. Ma non fu certo un insegnamento fallito la cosa più strana che mi capitò con lei. Akhelaytas, e molti altri elfi del castello, sembravano a tutti i costi volermi spingere tra le sue braccia. L'oracolo arrivò persino a dirmi che non si sarebbe stupito, ma anzi si sarebbe rallegrato, se io ed Elanor fossimo arrivati a concepire un figlio. Non comprenderò mai questa usanza elfica…per loro è quasi normale concedersi ad altri anche se si è già legati. Forse sarebbe saggio, da parte mia, non commentare questo loro modo di fare dal momento che neppure io fui un campione della fedeltà. Errore per cui ancora maledico me stesso visto che non so ancora quanto mi verrà a costare.
Ad ogni modo la mia vita a Naitheraska fu quanto di più quieto e tranquillo io riesca a ricordare. Le mura elfiche non soffocano coma quelle umane.
Non persi ad ogni modo l'abitudine di fare lunghe passeggiate per il bosco, sia sui sentieri battuti che su quelli nascosti. Il mio modo di cacciare era paradossale per alcuni. Loro se ne stavano nascosti aspettando che la loro preda si facesse vedere, mentre io mi mostravo apertamente aspettando che qualche creatura maligna o nemico ingenuo arrivasse a considerare me come preda…salvo poi ricredersi l'attimo prima di trapassare. E' un metodo molto redditizio, a patto che si posseggano i giusti…"doni".
Una notte, proprio nel cuore della foresta, venni raggiunto da una persona assai improbabile. No, non si trattava di Salix, non stavolta…o forse dovrei dire non ancora, dal momento che non l'avevo ancora conosciuta, ma bensì di un'altra abitante di città. Come faccio a saperlo è piuttosto semplice: i suoi passi erano insicuri. Non certi e diretti come nelle strade di città. E' consuetudine, quando si incontra qualcuno di sconosciuto, chiedere come si chiami. Lei rispose: "considerami un sogno". Ad oggi non seppi mai con chi spesi quella nottata, e quella successiva a parlare. Le raccontai brevemente chi io fossi e come mai fossi lì. Non mi dilungai troppo dal momento che non mi sembrava molto interessata a qualsivoglia racconto. Anzi…dal suo volto era fin troppo comprensibile una preoccupazione ma non potendo far domande non potei saperne nulla. Il suo aspetto poi non faceva che rendere più spesso l'alone di mistero di cui era circondata, poiché era chiaro che venisse dal Sud. E certamente non da un luogo in cui la neve è spesso sovrana della terra. Le sue parole furono dannatamente veritiere. Fu un sogno…scomparve così com'era apparsa, anche se prima di andarsene mi disse che non desiderava rivelare chi era non per eccessiva riservatezza, ma perché se lo avesse fatto molto probabilmente io l'avrei uccisa o comunque si sarebbe scatenata una guerra. Non posso certo negare che il suo intuito le avesse suggerito il modo corretto di comportarsi. Così come non posso negare di non sembrare rassicurante verso chi considero un nemico o un pericolo e se lei fosse stata una seguace di Malar o una Durthan, cosa assai più probabile date le sue vesti, si…l'avrei uccisa lì dove si trovava. Chi fosse ho smesso di chiedermelo da molto tempo. Ma se dovessi ritrovarla non nego che mi piacerebbe mettere in chiaro le cose.
Seguì un periodo di breve quiete. Certo vi era sempre qualche isolato scontro ma fu una cosa che arrivai a reputare normale. Anzi, paradossalmente chiunque si insospettiva se nella foresta vi era troppa quiete poiché solitamente preannunciava un momento che si sarebbe rivelato assai arduo da superare. Mi seccò molto apprendere di aver avuto ragione ancora una volta. L'approssimarsi dell'inverno rese evidente che sarebbe stata una stagione piuttosto rigida, anche se nessuno si aspettava che sarebbe stata tanto rigida da far rischiare l'estinzione di ogni abitante in quella zona.
Gelo…un gelo pungente e duraturo come non ne avevo mai sentiti. Così intenso che costrinse chiunque ad adottare precauzioni magiche per evitare di soccombere. Io non feci certo eccezione, ma gli abitanti di Neverwinter, e il suo Re su tutti, non sembrarono volersi allineare a questo uso. I rapporti tra i cittadini e i silvani erano sempre stati tesi, ma in quel periodo si arrivò più volte vicini alla guerra. Quinland era deciso a fare di tutto per assicurare alla sua gente un fuoco per riscaldarsi anche se sospetto che il suo fosse un fine più politico che caritatevole. Di contro chi viveva nei boschi temeva che avrebbe visto la propria casa distrutta. Queste paure crebbero a dismisura finendo per contaminare ogni individuo, fin quando non si concretizzò con la formazione di quella che fu chiamata l' "Alleanza".
Alleanza…alleanza di che cosa? Dal mio punto di vista non erano che una schiera, più o meno folta, di bifolchi armati di forcone e guidati da individui ancor più squilibrati di loro. Si professavano combattenti per una giusta causa, ma i loro metodi erano insani e disonorevoli. Spargere trappole, attaccare convogli indifesi, uccidere anziani e uccidere anche bambini. Che fosse rabbia o più semplicemente desiderio di non vedere altri futuri nemici questo non lo so. Quel che so è che spesso dovetti dissuaderli dal compiere le loro malefatte, a volte con le parole…altre con la spada. Giunsi persino ad incontrare i loro capi, che con pari disonore dei loro sottoposti, celarono i loro volti dietro a delle maschere. Quercia, Orso, Cervo…così si facevano chiamare. Tra di essi uno mi era noto: Saevel, come me seguace della Regina delle Foreste. Fu lui a dirmi quasi tutto ciò che potei sapere sull'Alleanza, compreso il fatto che spesso i vari componenti non erano neppure in contatto tra di loro. Come si usa dire in questi casi "la mano destra non sa cosa fa la sinistra", e conoscendo bene il perché spesso andavo a parlargli lui fu molto lesto a dissociarsi da chi usava metodi insani per combattere. Quando apparve chiaro che non esisteva modo di farli ragionare o quantomeno di convincerli a combattere in modo onorevole io presi le distanze da loro…e dai druidi che li seguivano. Ancor oggi non mi spiego come mai Mielikki, Silvanus e Lurue quei druidi non li abbiano folgorati. Sarebbe stata una giusta fine per loro.
Concordai con Akhelaytas che fin quando Everantha e Naitheraska sarebbero rimaste fuori dal conflitto, noi non avremmo avuto nulla a che fare con gli eventi che si susseguivano. Ma quando gli uomini dell'Alleanza decisero di circondare il castello…avemmo qualcosa da obiettare. Nella fattispecie io. I guardiaboschi a volte tendono a pensare che la loro capacità di muoversi furtivamente possa assicurare loro molte vittorie. Credono che le loro frecce possano abbattere qualsiasi nemico. Ma che fare quando questo nemico ha un udito oltremodo allenato e la sua pelle è così dura da non essere scalfita da una freccia? La risposta a questo interrogativo li fece desistere da ulteriori pazzie. Senza contare che, inoltre, ero riuscito a convincere una persona a fornirci qualche informazione anche sui movimenti delle forze di Neverwinter, che sarebbero certamente scese in guerra contro l'Alleanza.
Stavolta si…si tratta proprio di Salix. Si professava una mercante, come tutti gli abitanti della Sembia, ma venni a sapere da lei medesima che la sua specialità era proprio la ricerca e la raccolta di informazioni, campo nel quale la sua abilità era molto notevole.
Salix…o Selenia. Mi è arduo riuscire a credere che possano esistere più persone in un solo corpo, ma non c'è altra spiegazione per la sua condizione. Era due persone in una. L'una molto dolce, pacata e allegra. L'altra invece fredda, calcolatrice, metodica e spietata. La conobbi principalmente sotto questo secondo aspetto, proprio per questo più ripenso al tempo trascorso insieme e più non posso fare a meno di pormi certe domande. Quando eravamo nel rifugio, ad esempio, mentre mi battevo con l'uomo di Kara-Tur che l'aveva aggredita…perché è rimasta in disparte a guardare? E quando lo ebbi abbattuto…perché si avvicinò a quel corpo morto come se nulla fosse? E quando era così cortese da leggere per me le lettere di Yun…come mai profondeva tanto impegno per farmi immedesimare in quei fatti?
Quando manifestò l'altro lato di se, vale a dire quello di Salix, ebbi l'impressione di avere di fronte una persona del tutto diversa. Incapace di fare del male a chiunque, incapace di ira o rabbia e, c'è mancato poco, timorata persino della propria ombra. Una differenza abissale, come se in qualche modo avesse rifiutato in tutto la parte maligna dentro di sé, giungendo alla creazione di due entità distinte. Era solita definire sé stessa come figlia della menzogna. Mi viene da domandarmi, quindi, se non giungesse di proposito a farmi soffrire certe volte. Se così dovesse essere, pur considerandola ora un'amica, non credo che riuscirei a perdonarla.
Quel che più mi rese interdetto di lei, ad ogni modo, non era la sua doppia personalità, ma il burrascoso rapporto con suo padre, un individuo che amava e odiava allo stesso tempo. Quando dico "amava" non intendo quel legame d'amore che si instaura tra padre e figlia. Intendo invece che lei e suo padre si amavano carnalmente. Lo ammetto…iniziai a guardarla in modo diverso una volta appreso questo particolare. Anche per me, che vengo definito un selvaggio, una tale cosa andava e va oltre qualsiasi limite consentito. Se questa è la civiltà…sono ben lieto di essere considerato un incivile.
Lei ammise che si accompagnava a me per trovare una protezione. Qualcuno che potesse, all'occorrenza, difenderla dai suoi nemici. Non sono solito negare un aiuto se mi viene richiesto, ma non sono neppure solito elargirlo a chiunque. Conoscevo bene il suo carattere, e la sua tendenza ad immischiarsi in cose troppo grandi di lei nonché quella a procurarsi più nemici di quanti potesse gestirne. Le dissi, quindi, che l'avrei difesa solo contro sciagure che non avesse lei stessa contribuito a scatenare. Una volta appreso che ero, a mia volta, figlio di una mercante le apparve chiaro come mai era così arduo raggirarmi o smuovermi.
Dopo il mio ritorno a Rashemen sono molte le domande che a volte mi pongo sulle persone che incontrai dall'altra parte del mondo. In particolare spero che Naitheraska sia ancora in piedi e che non fosse la mia sola presenza a scoraggiare i bifolchi dell'Alleanza dall'assaltarla. Così come spero che il bosco non sia diventato prima un campo di battaglia e poi un immenso cimitero. Così come spero che Salix non si sia messa in un guaio, stavolta, davvero troppo grande.
Ma forse è tempo che lasci andare questi pensieri e che inizi sul serio a recuperare la mia vita. Si…voglio tornare a preoccuparmi dei thayan, dei megeridi e delle loro madri, e delle Durthan anche se un'ultima domanda mi rimane, e temo non ci sia modo di eluderla. Ho la certezza che il mio esilio nella Costa sia stata opera di Mielikki. Non è raro che gli dei agiscano così. Ma ha fatto sì che io imparassi molto, che cambiassi a tal punto da riuscire ad impressionare persino mia madre. Più ci penso e più mi convinco che Ella non abbia soltanto voluto impartirmi una grande lezione. Ma allora a quale scopo spingermi a cambiare fino a questo punto? Ecco un'altra risposta che, per ora, va oltre la mia comprensione.
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