Sono certo che se un elfo che era solito chiamarmi Amico potesse leggere questo scritto, quasi certamente si metterebbe a ridere. Due anni di vita lontani da Rashemen per me sono somigliati a quanto di più simile ad un'eternità ci possa essere, mentre per loro sono paragonabili a pochi istanti. Cosa potranno mai essere, del resto, due anni a fronte della speranza di viverne quasi mille…
Fu un confronto molto acceso quello sul tempo e in effetti il primo argomento di scontro con il Popolo Fiero sin dai primi momenti del mio arrivo nella Costa. Ricordo perfettamente di una coppia di elfi, l'uno spocchioso e arrogante come la maggioranza dei suoi simili, l'altra molto più simile a me invece. Forse è per questo che giunsi a considerarla quasi come una seconda sorella. Spesso tendeva anche a non condividere la maggior parte dei pensieri della sua gente, fra tanti quello secondo cui "per gli Elfi gli Umani sono solo di passaggio…". Centinaia di anni di isolamento e di prosperità della loro cultura tra i loro soli simili hanno indotto gli Elfi a dimenticare forse come ci si debba rapportare con esponenti di altre razze, dal momento che non esiste uomo sulla terra che non trovi tale pensiero offensivo. E primo tra tutti io…o almeno io come ero a quel tempo. Non mi feci certo pregare per vomitare addosso a quell'elfo una tale mole di insulti così fiorita da fare invidia persino a Freyda nei suoi giorni più ispirati, così come non mi feci pregare per mostrargli la mia forza alla prima occasione utile. Col tempo divenne tale il mio rapporto con gli Elfi, anche se in un senso certamente più nobile e buono. Ci si rese conto che si aveva molto da condividere, l'uno a beneficio dell'altro e fu una donna elfica appartenente alla stirpe del Sole, Nailean dei Mraerital, a farmi da mentore in questo senso.
Nailean…è difficile dire cosa sia stata per me. I ricordi di lei in vita sono vividi nella mia mente e credo che mai si affievoliranno, sebbene occupino un tempo piuttosto breve. Sono stati pochi…pochissimi i mesi che potei trascorrere in sua compagnia ma assieme a lei viaggiai alla scoperta di una civiltà praticamente sconosciuta e che sarebbe divenuta a me cara. Fu lei ad insegnarmi la lingua degli elfi e fu lei, per la prima volta, a dichiarare la nostra amicizia. Ricordo quelle parole come se lei fosse qui e le avesse appena pronunciate: "Io sono Nailean dei Mraerital, futura Coronal della Costa della Spada. E ti ho chiamato Amico". E' rara una simile dichiarazione da parte di un nobile elfo, ma è assai più raro, nella loro cultura, che a qualcuno che non appartenga al loro popolo venga attribuito un nome nella loro lingua. A quanto pare meritai anche questo e mi venne attribuito il nome di Therandae, che tradotto in lingua Comune significa "la spada che protegge il Cielo".
Il mio legame con Naielan era molto forte. Lei aveva fatto sì che io e la sua gente coltivassimo una preziosa amicizia e senza il suo apporto non sarebbe mai stato possibile. Non ho remore ad ammettere che significasse qualcosa per me, ma non oserei certo dire che potessi sentirmene attratto. Gli Elfi e gli Umani sono molto diversi…in effetti troppo diversi per poter condividere una vita assieme come compagni, e i figli di queste unioni spesso sono rifiutati da ambo le parti. Agli elfi sembrano troppo umani e agli umani sembrano troppo elfi. Con quale coscienza si può mettere al mondo qualcuno condannato a questa vita? Ecco perché allontanai immediatamente quel pensiero. Ma ciò non toglie che fu un duro colpo per me apprendere della sua prematura scomparsa. Riportarono il suo corpo privo di vita a quella che una volta era solo la dimora della sua Casata e lì la vegliammo, prima di celebrare il suo viaggio verso Arvandor. Mi ha stupito apprendere che gli elfi non sono soliti piangere i loro morti, poiché essi abbandonano questo mondo solo per raggiungerne uno migliore. Arvandor appunto, la dimora della Corte di Corellon, loro Signore e Creatore, e con lui e con il resto dei Seldarine ora lei avrebbe camminato, senza dover più temere niente.
Noi piangiamo i nostri defunti, poiché riteniamo che la Morte li abbia strappati al nostro affetto. Loro si rallegrano di una scomparsa, che sia naturale o prematura, perché è il portale d'accesso ad una vita migliore. Una vita che sono certi condivideranno tutti un giorno o l'altro. E questa certezza fornisce loro una coesione che per noi uomini, lacerati e consumati da continui conflitti a volte privi di senso, è assolutamente incredibile o forse ipotizzabile nel più remoto dei sogni. Inoltre c'è un altro fatto che merita di essere narrato, anche se la sua spiegazione mi sfugge e di certo meriterebbe molto di più che una breve nota al margine di una memoria. Lei…mi apparve in sogno. Proprio quella notte. Vi era un verde paesaggio, carezzato da un lento ma costante movimento dell'aria. Il cielo era azzurro e regnava un'armonia fuori da ogni comune esperienza, e un tripudio di colori molto simile a quella che definiremmo un'aurora si ergeva sulle cime montuose, oltre una sconfinata foresta. Ero certo di non aver mai messo piede in quel luogo incantato, ma ero altresì certo che si trattasse di Arvandor. La vidi a pochi passi da me, intenta anche lei ad ammirare quel nuovo reame ma non ci mise molto ad accorgersi di me. E mi si gettò tra le braccia dandomi il benvenuto…e un bacio…con una passione che non credevo certo potesse appartenerle. Mi disse che avrebbe potuto amarmi, o che forse lo aveva già fatto in vita. E mi donò un anello, con la promessa che quando anche io avessi raggiunto i regni degli Dei, allora tutto ciò che non mi aveva detto sarebbe infine stato palesato.
Un sogno come un altro, forse con un senso o forse no. Sta solo di fatto che quando mi svegliai quell'anello era nelle mie mani. Ed era vero. Un oggetto esistito in un sogno, in qualcosa che credevo unicamente nei miei pensieri, ora era reale…materiale. Di quale grande verità è portatore un fatto simile! Comprendere il reale potere dei sogni è qualcosa che sfugge alla nostra comprensione, e certamente alla mia. Cosa posso fare se non augurare alla mia amica un sereno viaggio verso la Corte di Corellon…
La realtà non ci mise molto a reclamare il suo spazio e io dovetti smettere quasi immediatamente di perder tempo a porre domande di cui non avrei mai potuto avere la risposta. Come ho già avuto modo di esporre, il bosco di Neverwinter conobbe ben pochi momenti di serenità. Si susseguirono eventi che segnarono quel posto per sempre. Una maledizione vecchia di ottocento anni si abbattè sulla foresta, a causa di un patto che un vecchi regnante elfico strinse con un mago senza scrupoli, divenuto un Lich. Bordug, questo il suo nome. Un essere dal grande potere in grado di richiamare a sé un'energia negativa che sembrava in grado di soverchiarci tutti e che poteva armare un esercito di mostruose creature. Come facemmo a riportare una vittoria ancora oggi non mi è chiaro, ma qualcosa mi dice che è meglio non chiedermelo. La verità è che lo sconfiggemmo e lo relegammo al regno dei morti al quale apparteneva. Mai più avrebbe fatto ritorno e mai più avrebbe rivendicato il possesso di quelle terre.
Ma non era la fine, certamente no. Il bosco di Neverwinter era una sorta di paradiso per chi come me combatte sin dalla sua nascita. Vi si poteva passare tutto il giorno a brandire armi, abbattere nemici, banchettare la sera e il giorno dopo ricominciare a combattere. Eppure decine di volte sono giunto a definirlo come un inferno e a ritenere che Mielikki non avesse nessun interesse in quel luogo. E così dopo Bordug giunse il tempo in cui gli abitanti della foresta e quelli della città furono sul punto di imbracciare le armi gli uni contro gli altri. Arrivò un terribile inverno e molti degli abitanti di Neverwinter rischiarono di morire per il gelo spietato che iniziò a flagellare la Costa della Spada. Accadde poco prima che accompagnassi Yun a Luskan, per darle modo di prendere la nave che l'avrebbe ricondotta al suo luogo di origine. Ancora una volta, se l'avessi evitato ora molte cose sarebbero diverse, a cominciare dal fatto che la sua memoria sarebbe intatta invece che frammentata e che la maggior parte dei suoi sonni sarebbero tranquilli, anziché essere torturati da indicibili incubi che riconducono la sua mente alla prigionia. Persino ora, mentre la penna che tengo in mano si muove per scrivere queste parole, la sento agitarsi e singhiozzare. Il cuore mi si stringe…la colpa è mia. Solamente mia.
Il porto di Luskan era la più grande accozzaglia di criminali che avessi mai potuto vedere con i miei occhi. Non misi mai volentieri piede in quella città poiché sapevo che sarebbe stata lesta a risvegliare la parte peggiore di me. Una parola di troppo, uno sguardo errato, un gesto non rassicurate e tutto sarebbe finito nel sangue e nello stridore di metallo. Ho preferito evitare un simile accadimento e trattenermi in città per il tempo strettamente necessario. Poco dopo che la nave di Yun salpò, questione di una o due ore forse, feci una strana conoscenza. A volte il destino ha davvero il senso dell'umorismo. Un maledettamente sviluppato senso dell'umorismo aggiungo, perché quell'incontro mi avrebbe condizionato per molto tempo. E non sto parlando di quella conoscenza che io e Yun avevamo in comune, tale Sachiko. Una donna ti thay, più volte invitata da Yun a non rivelare la sua origine di fronte a me. Un avvertimento vano, giacchè si palesò sia come thayan sia come adepta dei Maghi Rossi. In altre parole si dipinse un grosso bersaglio sul petto invitandomi ad affondare la spada nel suo cuore. E parole d'onore…l'avrei fatto presto o tardi. Ma come detto non si trattò di lei quel giorno, ma di un'altra donna che si presentò come Selenia Monroe. Cosa ottenne da me quel giorno se non una fugace occhiata e un disinteressato saluto. Non avevo nessun interesse a fare nuove conoscenze.
Dovette passare molto tempo prima che io e lei potessimo aver modo di incontrarci di nuovo, seppure accadde per un caso fortuito. Da sempre la foresta, o meglio tutte le foreste in generale, non sono un luogo ove potersi avventurare per trascorrere il tempo. Neppure il più saggio dei viventi sa cosa possa annidarsi nel cuore dei regni della natura, quando gli alberi diventano così maestosi e i loro rami così lunghi e fitti a tal punto da oscurare il sole. Ma lei lo fece…la ritrovai nei pressi della cascata che alimenta Fiume Tiepido, un affluente del Neverwinter che come il fiume principale aveva la caratteristica di essere riscaldato da una comunità sotterranea di Elementali del Fuoco. Fu allora che ebbi modo di conoscerla un po' meglio, nel mio ambiente congeniale e lontano da tutte le frenesie e complicazioni proprie del "mondo civile". Fu lei a riconoscere me…mi ero persino dimenticato di averle detto il mio nome in città quel giorno così come mi ero dimenticato di averle detto il perché della mia presenza al porto. Cercava la via per il Rifugio e mi offrii per accompagnarla, evitandole di percorrere altre miglia a vuoto col rischio di essere divorata viva da qualche bestia notturna.
Che dire…credevo fosse l'ultima volta che l'avrei rivista. Ma torno a ripetere che il destino ha molto senso dell'umorismo. Mentirei se dicessi che non era bellissima e maledettamente attraente. E lei sembrava saperlo per di più. Anzi…lo sapeva benissimo. La incontrai molte volte ancora, il più delle quali per tirarla fuori dai guai che combinava smarrendo la via all'interno del bosco. Mi disse che quel luogo, seppur con le sue complicazioni, le offriva una via di fuga dalla vita di città, all'interno della quale era costretta a guardarsi continuamente le spalle dai suoi nemici. Non feci neppure in tempo a domandare chi fossero che lei replicò con un secco, ma cortese: "Per favore, non fare domande". E perché avrei dovuto? Dopotutto perché interessarmi ai suoi nemici se era lei la prima a non voler palesare più di tanto la cosa? E poi chi poteva immaginare che quella persona, anche se in modo inaspettato, potesse entrare a far parte della mia vita?
Ci ritrovammo ancora una volta al rifugio, una sera, per ripararci dalle intemperie che flagellavano l'esterno. Era presente anche un altro uomo, uno che sembrava quasi provenire da Kara-Tur, palesemente ubriaco o comunque molto prossimo a quella soglia. Iniziò a fare dei pesanti apprezzamenti sul corpo di Selenia. Non che avesse torto ovviamente, quella donna avrebbe mozzato il fiato a qualsiasi uomo. Non serve certo la vista degli elfi per accorgersi di aver di fronte qualcosa di bello. Ma lei, tuttavia, sembrava non gradire affatto quelle attenzioni. Attenzioni che presto presero una piega sbagliata e indussero lei a difendersi, lui a reagire e me a intervenire. Più e più volte intimai a quell'uomo di abbandonare il rifugio…ma gli ubriachi possono essere molto più duri di comprendorio di me a volte, e mi ignorò. Ma io non potei più ignorare lui quando colpì Selenia così forte al punto di tramortirla. Permettere che un simile individuo potesse liberamente vagare per il bosco era fuori discussione e mi decisi ad affrontarlo. Non so se fosse abile o semplicemente fortunato per via del suo stato. Sta di fatto che quel pazzo combatteva dannatamente bene e sta anche di fatto che, facendomi ingannare dalle apparenze, io lo sottovalutai. Era bravo a schivare la mia lama e non fu affatto semplice colpirlo. Mi ridusse al suolo persino ma alla fine, cedendo alla collera, ne ebbi ragione. Quale amara vittoria fu quella per me. La più insensata delle mie vittorie la definirei ora. Non lo avrei certo ucciso se fossi rimasto lucido me per i Nove Inferi…io ridotto al suolo da un uomo ubriaco! Per quanto non fossi più da tempo l'egoista innamorato della gloria che ero stato, mai il mio orgoglio avrebbe potuto sopportare un'onta simile. La mia forza divenne incontrollata sotto l'adrenalina che mi scorreva nel sangue, e la mia lama finì per trapassargli il cuore colpendolo a morte. Lo ripeto ancora una volta: una vittoria che lasciò l'amaro in bocca. Selenia mi si avvicinò e si offrì di medicarmi le ferite, oltre ai ringraziamenti per essermi battuto per lei. Lei…preferii non identificarla come la causa di tutto. La mia rabbia aveva già versato sangue a sufficienza. La allontanai da me e andai a seppellire quell'uomo, pregando Mielikki di vegliare sull'anima di quello sventurato e di perdonare il mio errore. Ma non fu così…dovevo pagare lo scotto del mio sbaglio. Quando tornai all'interno del rifugio per trovare un po' di riposo lei era ancora lì. E stavolta accettai di lasciarmi medicare.
Lei sembrava provare un piacere perverso nell'infliggere dolore agli altri. E tentò di farlo anche con me. Ma è una pratica che non gradisco e glielo dimostrai apertamente. Giunsi quasi a strangolarla, col sorriso sulle labbra, e la promessa che se si fosse permessa di torturare una mia ferita anche solo con un'unghia le mie dita le avrebbero spezzato il respiro e sarebbe stata la mia seconda vittima quella serata. Lo capì. Non era una stupida e non lo era mai stata. Comprese fin dove poteva arrivare e non osò oltre. Non in quella direzione almeno. Le sue intenzioni divennero sempre più palesi man mano che mi medicava le ferite e per quanto una mente e un cuore possano essere saldi e forti, è raro che la carne lo sia altrettanto. Il suo tocco mi tentava…e io finii per cederle.
Fu la mia amante, e io fui il suo. Non per un lungo periodo in effetti, dal momento che le notti che trascorsi con lei potevano essere contate sulle dita delle mani. E mi sembra strano tutt'ora come spesso mi ritrovassi a parlare con lei della mia vita. Di Rannik, di Yun e di quello che provavo per loro. Lei comprese immediatamente che soppiantarla nel mio cuore era impossibile. Avrebbe potuto avere il mio corpo, ma il resto le era precluso. Lo accettò. Non le interessavano i miei sentimenti…le interessava avere una sorta di amico, magari con cui abbandonarsi ai piaceri della carne di tanto in tanto. Qualcuno che potesse salvaguardare la sua vita se fosse stata in pericolo o che potesse offrirle un rifugio sicuro quando le mura della città divenivano troppo opprimenti e l'aria al loro interno troppo asfissiante. Oppure…una spalla su cui piangere quando la disperazione diveniva insopportabile. E furono molte le occasioni in cui dovette approfittare di ciò.
Mi narrava spesso della sua turbolenta vita, delle due personalità che convivevano nel suo corpo e nella sua mente e della sua ossessione per suo padre, che a volte giungeva a sfiorare la follia. Quando mi rivelò chi fosse in realtà molte cose divennero più chiare e spiegabili per me. Salix Sunshine, la figlia del noto personaggio di Luskan. Condannata dal suo nome sin dalla sua nascita e addirittura anche prima. Comprendere la sua tristezza e le sue paure divenne sempre più semplice per me.
Col tempo coltivammo qualcosa in più di un semplice rapporto carnale. Giungemmo a considerarci amici e a condividere piccole parti delle nostre vite. Imparai a conoscerla e lei imparò a conoscere me. La ricordo come un'affezionata amica ora, e mi trovo di tanto in tanto a domandarmi come stia e cosa stia facendo.
Invero non comprendo neppure come io possa essere qui, a scrivere di Salix mentre Yun è qui al mio fianco che ha finalmente ritrovato un sonno sereno. Quello che mi ero ripromesso devo farlo. Yun deve conoscere questa mia debolezza, sebbene sia durata poco. Perché? Non lo so ancora. Forse perché ammetto sempre i miei errori, specialmente con le persone a cui tengo. Per gli dei persino Salix cercò di dissuadermi dal farlo ma non vi riuscì. Io non desidero che la vita futura con Yun sia figlia di una menzogna. Desidero poterla guardare negli occhi senza dovermi vergognare. Lei è morta per me. Io le devo la mia sincerità…e la mia devozione.
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