Spesso siamo portati a credere che gli eroi delle grandi storie possano provare piacere nel bearsi della gloria che conquistano con le loro notevoli e innate doti. Uomini e donne straordinari con umili origini, ma che elevano il loro coraggio e la loro audacia a tali livelli da divenire infine persone importanti, magari Re o Regine, oppure grandi Cavalieri o guerrieri leggendari. Non fu diverso per Yvengi, immagino, l'uomo che divenne il primo Signore di Ferro di Rashemen. Benchè certamente dotato di forza e coraggio fuori dal comune, egli non era diverso da ogni altro berserker di questa terra dopo il crollo di Imaskar. Avrebbe, forse volentieri, trascorso la sua vita in pace nella sua casa, con la sua antica tribù, circondato dai suoi affetti e dalla memoria dei suoi antenati, vivendo di quel poco che questa spoglia terra ci dà da sempre. Ma la vita non gli ha certo domandato cosa voleva, così come non gli domandò se era suo desiderio affrontare il signore demoniaco che minacciava, con la sua malignità, ogni angolo di questa parte di mondo. Così come non gli domandò se desiderasse incontrare e scoprire le donne che in principio erano note come le eredi dell'ormai perduto Impero di Raumathor. Ma tutto ciò accadde, indipendentemente dalla sua volontà. La sua alleanza con quelle incantatrici determinò la sua vittoria, la quale a sua volta determinò il patto che diede origine alla casa che ora chiamiamo Rashemen.
Il padre di mio padre raccontò questa storia ai suoi figli, perché comprendessero da che uomini discendono e perché la forza e il coraggio del nostro primo Re potesse ispirarli nel cammino che avevano deciso di seguire. Allo stesso modo mio padre raccontò questa storia a me e poi a Freyda, così che comprendessimo da quale nobile stirpe di uomini traevamo il nostro lignaggio. Da bambino non avevo altro desiderio che replicare questa gloria, ma ora, col senno sopraggiunto e dopo molte volte che sono andato vicino a perdere la vita, sia nei fatti che nei pensieri, mi domando: a questi grandi uomini, che per tutti noi sono d'esempio, quanto era gradita la strada che il destino ha fatto loro percorrere?
Mi rendo conto che sia un interrogativo complesso, che richiederebbe una risposta altrettanto complessa, la quale temo sia oltre la mia portata. Non ho certo la presunzione di rispondere per Yvengi o per qualsiasi altro grande uomo della nostra storia o di quella di altri. Nè ho la presunzione di pretendere di essere accomunato a loro o di affermare che la mia esperienza possa essere assimilata a quella da loro vissuta. Posso solo dire che, per parte mia, ho imparato che ben raramente ciò che è necessario fare ci aggrada. Ma è pur sempre necessario, anche se nell'immediato possiamo non comprenderne lo scopo.
Ma tutto ciò non fa che condurmi di interrogativo in interrogativo, non ultimo quello su cosa possa aspettarmi ora che ho finalmente rimesso piede a Mulsantir.
E' stato bello…indescrivibilmente bello poter respirare nuovamente l'aria di casa e poter rivedere un panorama familiare. Le porte della città sono esattamente come le ricordavo, e come del resto sono sempre state. Giunsi qui per mezzo dell'anello magico recuperato nelle rovine della Corte degli Elfi Acquatici, ed era già abbondantemente trascorso il giorno. La notte e la luna avevano reclamato il loro posto, anche se quest'ultima non ci era dato poterla osservare. La volta celeste è quasi sempre coperta sui cieli di Rashemen, quasi eternamente spazzati da venti gelidi, ghiaccio e neve e il giorno in cui feci ritorno non era diverso da molti altri qui. Ma per me…ha avuto un sapore particolare. Dei…che bella sensazione fu avere di nuovo un tremito per il gelo dell'aria.
Avevo dimenticato quanto potesse essere gravida di vita, nonostante sorga in un luogo non esattamente ospitale. Il fiume che le scorre vicino diventa di ghiaccio durante l'inverno, ed è così solido da poterlo percorrere a bordo di un carro per mercanti. Gli stessi mercanti che popolano il bazar più o meno al centro della città, che riunisce molti individui provenienti anche dal continente più a est ed è un'attività che fa rimanere la città sveglia per molte otre anche dopo il tramonto.
Rannik si guardava attorno piuttosto incuriosita. Doveva certamente essere la prima volta che vedeva una città umana in attività ma contrariamente a quanto mi aspettassi non fece una piega. Forse, e dico forse, Akhelaytas aveva un po' esagerato nell'affermare che un infante elfico rischia di impazzire se cresciuto da umani e tra umani. Ma ad ogni modo non era quella la mia meta. Quella sera non intendevo perdere tempo e così mi diressi immediatamente verso la parte rialzata, lì dove vi erano la Loggia e i templi. Non era cambiato poi molto, segno questo che i cani di Telflamm non erano riusciti neppure ad avvicinarsi a sufficienza alle mura da poter minacciare la città. Vi era anche un'allegra brigata di bambini che non volevano saperne di passare la notte dormendo, intenti com'erano a martirizzare una persona che sembrava, almeno all'apparenza, di buon grado disposta ad averli attorno. Ricordi dell'infanzia che tornano alla mente…di quando ero io una piccola canaglia che non faceva che tirare palle di neve alla povera Sheva, che ora è la più anziana delle Hathran in città.
L'ho sempre considerata come una sorella maggiore. La ricordo quando, più di venti anni fa, lei era nel pieno della sua gioventù…e anche della sua pazienza. E ora rivedevo quelle scene in quel che accadeva di fronte ai miei occhi: i bambini che tiravano palle di neve e quella donna che, ridendo, rovesciava addosso a loro dell'acqua magicamente creata. Mi venne da ridere, a pensare a quando alla loro età, di lì a poco mi sarei trovato, invece, a dover nuotare nella gelida acqua del fiume…
Mi fermai per salutare quelle piccole canaglie e anche quella donna. Ma non la riconobbi subito, dal momento che il suo volto era parzialmente nascosto dalla penombra. Rannik invece l'aveva riconosciuta benissimo e si catapultò verso di lei per abbracciarla. La cosa mi lasciò interdetto, ma ne compresi la ragione di lì a poco, quando i tenui raggi della luna che riuscivano a filtrare le nubi illuminarono il volto di Yun.
Tremai. Il freddo della mia terra non era mai stato così intenso. Ma perché? Non era forse quello che stavo desiderando da così a lungo potermi finalmente ricongiungere a lei? Indubbiamente si, eppure avevo veduto quel momento così tante volte nei miei sogni che avevo paura di essere ancora in viaggio e di essermi assopito da qualche parte. Una paura legittima ribadisco. Molte volte mi era capitato di poterla vedere, ma nel momento in cui cercavo di toccarla la sua immagine spariva e la mia mente mi riconduceva alla realtà. La vedevo sorridente nei miei sogni…ma quando mi svegliavo ricordavo dov'era e cosa stava patendo.
Ma questa volta fu diverso. Io ero incredulo…e anche se non lo ammetterà mai, lo era anche lei. Immagino sia una reazione più che normale dopotutto. Attendi una cosa per così tanto tempo che quando finalmente riesci a trovarla non puoi fare a meno di domandarti se sia reale. E lei lo era, perché quando l'abbracciai potei sentire la sua vicinanza. L'avevo finalmente ritrovata…e la mia reazione, lo ammetto senza vergogna alcuna, me l'aspettavo da sempre. Non riuscivo a parlare…non riuscivo a fare niente che non fosse prolungare quel momento quanto più a lungo possibile. E quando mi fu chiaro di vivere nella realtà, trattenere le lacrime divenne impossibile. Piansi…come non mi era mai capitato.
Lei sollevò le mani verso il mio volto e asciugò le lacrime che scendevano. "No…" mi disse "ricordati chi sei". Ricordarmi chi ero…dovetti farlo. Da sempre la forza e il coraggio dei berserker è ciò che fa dormire sonni tranquilli alla gente di Rashemen. Ma è forse una mancanza di coraggio mostrare di amare la propria donna? O semplicemente ho trascorso troppo tempo in compagnia degli Elfi? Non lo so… quello che so è che mi sentii come rinascere una seconda volta.
Ci sentimmo imbarazzati quando qualche passante si fermò a guardarci interdetto. Gli occhi di un estraneo ci avrebbero certamente giudicato esagerati dal momento che quasi certamente mai avrebbero visto un bacio più appassionato di quello che io e Yun eravamo intenti a scambiarci. E nonostante le fosse stato raccomandato di non curiosare…anche Rannik era lì a godersi la scena. Piccola curiosa!
Lasciammo che quel momento scemasse. Il momento, ma non le sensazioni. Entrambi eravamo come pervasi da un'energia che ci portava a desiderare di averci a fianco l'un l'altra, ma lei aveva il suoi compiti da portare a termine e io dovevo per lo meno andare a salutare mia madre, mio padre e mia sorella, i quali erano certamente stati in pena per me tanto quanto Yun.
Ritrovai gran parte di loro alla Loggia, una seconda casa per ogni berserker. La prima che mi si fece incontro fu proprio Freyda, mia sorella minore. C'è chi dice che sia la mia copia al femminile. Ed in effetti il colore dei nostri capelli e quello dei nostri occhi è identico in entrambi e anche le maniere, certamente, evidenziano parecchie somiglianze. Fui felice di notare che il poco tempo durante il quale fummo separati non l'aveva cambiata minimamente. E lei me lo dimostrò dandomi un pugno, poiché ero colpevole del fatto di non aver avvertito nessuno del mio ritorno. Subito dopo si gettò tra le mie braccia come ogni sorella affezionata.
Dovetti passare attraverso una fitta rete di brutali saluti da parte degli altri berserker, ma la cosa non mi dispiacque affatto. In pochissimo tempo ripresi le mie abitudini e tornai alla mia vecchia vita. E' inutile che io dica che una loggia di combattenti non è esattamente il più raffinato degli ambienti, per cui ai più potrebbe sembrare soltanto una congregazione di selvaggi intenti a mostrare il peggior lato di sé stessi. Invero dico: che gli estranei pensino quel che vogliono. Noi siamo semplicemente noi stessi. Forti, fieri, indomiti, duri. La nostra forza deve proteggere la nostra gente e i nostri cuori non devono mai esitare. Per questo ciò che ricevette un figlio da parte di suo padre, in quell'occasione, fu un semplice ma confortante "bentornato, figlio mio".
Se mi stessero aspettando o meno non mi è ancora chiaro, ma in fondo che importanza può avere? C'era l'intera adunanza dei guerrieri della città e tutti hanno voluto udire le storie che avevo da raccontare riguardo alla Costa della Spada e ai nemici sconfitti lì. Com'è strano…grida, canti, vino a volontà, il mio nome gridato mentre pomi d'arma e boccali sbattevano violentemente sui tavoli. Osannato…come un eroe. Come fu per mio padre quando riuscì ad abbattere l'ultimo troll dei ghiacci, così ora era per me. Jurak, Forovan, Lena, Yulia, Nak'kai…tutti omaggiavano le mie imprese. O meglio, lo fecero fin quando non ebbero troppo vino nello stomaco e crollarono tutti in un sonno profondo.
Trascorsero due ore abbondanti prima che riuscissi a sgattaiolare via di lì. Freyda si era occupata per tempo di condurre Rannik a casa dei miei genitori. Quando anche mio padre ebbe lasciato la loggia allora, in silenzio, me ne andai anche io. Yun mi aveva chiesto di andare a prenderla a casa di Annika. Lei era andata ad assisterla poiché è da poco diventata madre ma non potevo certo immaginare di rimanere intrappolato alla loggia. Sapevo quindi per certo che non poteva ancora essere lì, così come sapevo che sarebbe anche andata a cercarmi a casa. Infatti era tornata alla sua di casa, ed era lì poco fuori la porta a sonnecchiare su una sedia. Si era praticamente addormentata aspettando che io tornassi. Mi venne da sorridere…avrei potuto restare lì a guardarla per ore ma non era ciò che volevo. Volevo riprendere da dove eravamo stati interrotti. Si, perché non mi contenni certo per la cura che avevo del giudizio altrui, quando la rividi dopo il mio ingresso in città. Mi contenni perché volevo condividere quel momento solo con lei, e con nessun altro neppure un casuale osservatore.
La presi tra le mie braccia e la portai all'interno della sua piccola dimora. Piccola ma non per questo meno accogliente. La posai sul letto mentre le parlavo credendo che fosse addormentata, invece era più che sveglia, tanto da farmi notare il mio enorme ritardo. In un certo senso fui lieto di apprendere che non aveva nessuna memoria della sua prigionia. Tutto quello che ricordava era la mia voce, il mio volto, il nostro amore e la statuetta di legno che le avevo mandato tempo addietro, e che aveva contribuito a donarle una nuova fede e la forza per resistere al suo supplizio. Io, dal canto mio, ricordavo tutto. Ricordavo perfettamente ogni attimo di quello che lei passò nelle mani dei suoi carnefici…poiché definirli genitori sarebbe un insulto a tutti gli altri genitori di questo mondo. Ricordo…vividamente…quell'ultima lettera che mi scrisse usando il sangue. Il suo sangue. E al solo pensiero il mio ribolle!
Lei mi chiese di raccontarle ciò che sapevo…ma io rifiutai. Non era quello il momento di rievocare un passato doloroso. Quello era il nostro momento e né io né lei volevamo che si sciupasse. Ora che eravamo soli potevo finalmente stringerla a me senza dovermi curare di occhi indiscreti…potevo sussurrarle ciò che provavo e che provo senza che qualcuno mi ritenesse un debole. Potevo dismettere i panni del berserker ed essere semplicemente un uomo innamorato.
Lei aveva conservato parte della sua timidezza. Le sue guance divennero rosse quando mi domandò di togliermi di dosso la tunica. Fu solo questione di tempo prima che quella strana energia tornasse a pervaderci. Non si era sopita per nulla…anzi si era amplificata a dismisura. Che strana sensazione provai in quei momenti. Non che non avessi mai avuto una donna nel mio letto prima, eppure mi sentivo quasi insicuro. Forse perché non avevo mai amato nessuna come amo lei, per questo quelle sensazioni mi giungevano così nuove…ma non volevo…non volevamo che finissero. La desideravo e lei desiderava me e non ci mettemmo molto a lasciarci travolgere. Lei era fuoco…un oceano di fuoco, fiamme e passione. Facemmo l'amore…incuranti di tutto…del tempo, dello spazio, dei nostri gemiti. Lasciammo che ogni emozione esplodesse e che null'altro avesse importanza. Non credo di aver mai provato nulla di così intenso…e quando tutto fu consumato…furono consumate anche tutte le nostre energie. Quanto tempo fosse passato non so dirlo e in fondo non ha mai avuto rilevanza. Ma qualche grammo di forza residua per un gesto di affetto mi era rimasto e lei sembrava esserne ben lieta.
Avrei solo voluto che il resto della notte fosse trascorsa in un sonno rilassante. Ma non fu così. Terribili immagini colsero la mia mente fino a spezzare il mio riposo. Mi svegliai terrorizzato…avevo rivisto quei momenti…gli stessi di quando apprendevo del martirio di Yun. Ma stavolta io ero lì. Nel mio sogno io ero in quella cittadella e potevo vedere e sentire ogni cosa. Non ho mai veduto quel luogo né i volti dei suoi tre carnefici…eppure erano così vividi, così reali. E come in ogni incubo, in cui non siamo che vittime delle nostre paure, io non avevo il potere di impedire quello che stava accadendo. Vidi sua madre trafiggerle il petto con quel pugnale mentre elevava canti e preghiere al suo Nero Tiranno. E quando infine io riaprii gli occhi…sentii Yun singhiozzare. Come faccio a saperlo non mi è chiaro, ma sono certo che avesse visto ciò che io avevo visto. Persino nei nostri sogni quei maledetti ci tormentano. Per gli dei, non ho atteso tutto questo tempo per tornare qui e vivere nella paura di perdere tutto di nuovo.
La pagheranno quei maledetti! Dovessi andare ad assediare quella cittadella da solo e dovessi sbriciolarne pietra per pietra ogni dannato angolo, io li troverò. Li annegherò nel loro stesso sangue e metterò fine a questa agonia una volta per sempre. Come promisi…la Morte passerà loro a far visita. Molto presto.
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