E' trascorso quasi un mese, ormai, da quanto ho varcato i cancelli di Mulsantir per ristabilirmi qui. Per riprendere il mio posto tra la mia gente. Quaranta giorni forse, ma non di più. Non che credessi che potesse avere importanza contarli comunque.
E' sorprendente notare come la conta di avvenimenti in questo breve periodo sia stata di gran lunga superiore a quella della Costa, alla fine di due anni di permanenza lì. Forse avevo ragione a lamentarmi, di tanto in tanto, dell'immobilità di certi momenti in quella terra o forse l'aria di casa tende a farmi vedere le cose migliori di quanto non siano in realtà.
La caratteristica più sorprendente di Rashemen è certamente la serenità dei suoi abitanti. Gli dei ci hanno fatto dono di una terra fredda e inospitale, che non è in grado di provvedere ad una popolazione troppo abbondante. La maggior parte della superficie è ricoperta di neve per gran parte dell'anno, salvo rarissime eccezioni, e la costante presenza di creature divoratrici di uomini non favorisce certo la nostra demografia. Chiunque venga a contatto con questa dura realtà giunge spesso a comprenderci fino in fondo. Non abbiamo scelto noi di non essere rinomati come poeti o scrittori, e non abbiamo scelto noi di non indirizzare i nostri figli alla pittura piuttosto che alla spada. Da generazioni semplicemente scendiamo a patti con ciò che abbiamo, e a Rashemen o si è capaci di brandire un'arma o si diventa cibo per mostri. Quando io, Forovan, Lena e la maggior parte dei berserker della Loggia eravamo poco più che bambini, Jurak era solito ripeterci queste parole: "Potete rimanere qui, fortificarvi nel corpo e nella mente, imparare a usare la vostra paura come nutrimento per la vostra forza. Potete onorare i vostri antenati e diventare anche voi dei fieri difensori di questa terra, gioire di ogni vittoria e portare la Dea a sorridere. Ma se sentite che il gelo vi entra nelle ossa…se sentite che non riuscite a trattenere le lacrime…se credete che gli uomini siano troppo duri con voi e se sentite un bisogno incontrollato di correre a piangere tra le braccia delle vostre madri allora andate! E vergognatevi per il resto delle vostre vite!". Erano parole molto dure quelle e solo dopo molti anni ne comprendo il reale significato. E specialmente ora che mi sono stati affidati dei giovani ragazzi da iniziare. Mi sono trovato a ripeter loro le medesime parole. Un futuro guerriero viene posto di fronte a ogni genere di sofferenza e privazione ma soprattuto viene posto di fronte alle sue paure, e non occorre intrappolare la sua mente in un labirinto magico. E' sufficiente lasciarlo da solo con sé stesso e lasciare che lo scontro si disputi. Se ne uscirà vincitore, allora e solo allora potrà divenire un vero Berserker. Per quanto possa sembrare disumano questo è l'unico modo. E oggi che sono qui, ancora integro e reduce da molte battaglie, mi trovo a benedire questi insegnamenti, poiché quando si è nel cuore della tana di una Megera e si sentono delle grida di un uomo che viene lentamente fatto a pezzi, la cui disperazione non deriva dal nefasto destino spettatogli ma dalla consapevolezza che per quanto forte possa gridare nessuno potrà mai udirlo…quando la paura è ad un passo dal dominare il nostro animo, non ci saranno braccia amorevoli pronte ad accoglierci. Potremo solo afferrare quella paura, incatenarla nel nostro corpo, tramutarla in furia e poi lasciare che esploda. Essa ci rende implacabili. Moltiplica la nostra forza. E fa di noi uno strumento di distruzione per i nostri nemici.
Di certo non mi sarei aspettato di ricoprire un ruolo simile una volta tornato indietro, ma sia Jurak che mio padre concordano sul fatto che sia io il migliore per questo compito. Staremo a vedere. Ognuno di quei bambini praticamene mi odia ma un giorno comprenderanno. Io devo essere duro per poterli fortificare, e per augurare loro di divenire, in futuro, dei guerrieri più grandi di quanto io abbia mai sognato.
Sono stato lieto nell'apprendere che Yun si è fatta ben volere praticamente da tutti qui a Mulsantir. Solitamente i rashemi non sono il popolo più ospitale del mondo, ma lei ha avuto la fortuna di incontrare le persone giuste. Mio padre ha conservato un po' della rudezza del nostro popolo, ma ha finito per accettarla in meno di un giorno. Mia madre l'ha accolta come un'altra figlia e l'ha aiutata ad ambientarsi. Per non parlare poi di Freyda. Mia sorella sembra entusiasta all'idea che Yun possa diventare sua parente, e a quanto sembra non ha mancato di insegnarle alcuni particolari sugli uomini. C'è da augurarsi che Yun non prenda esempio da lei, dal momento che è sempre solita mandare via i pretendenti "sgraditi" col volto tumefatto ma temo che ormai il danno sia irrimediabile. Quelle due non me la raccontano giusta. Sarà saggio lasciare che passino tanto tempo assieme?
Ad ogni modo non posso che essere grato a mia sorella. Si è presa cura di Yun fin dal principio e non ha lasciato che le accadesse nulla. Conoscendola avrà persino rotto un osso a qualcuno che ha solo per sbaglio guardato in loro direzione. E' un tipo piuttosto…esuberante. Tende ad esserlo in ogni cosa che fa, ma è impossibile non volerle bene, specialmente per me.
Yun ha cominciato a dedicarsi al culto di Mielikki come sua celebrante e a quanto sembra prende i suoi doveri molto molto seriamente. E' giunta a Mulsantir circa quattro mesi prima del mio ritorno, e in quatto mesi non c'è stato uomo, donna, anziano o bambino che lei non abbia in qualche modo aiutato. Così come ora non c'è uomo, donna, anziano o bambino che non mi fermi ogni giorno per le strade della città chiedendomi di lei. Parola mia: inizio ad ingelosirmi!
Le promisi, quando tornai, che le avrei mostrato alcuni dei luoghi più belli di questa terra, di cui sono giunto a conoscere praticamente ogni angolo. Le non disdegnò certo l'idea e mi sembrò una buona cosa iniziare con le Sorgenti di Lurue. Si tratta di un altopiano che ospita delle sorgenti di acqua incantata, la quale sembra essere tanto buona per dissetarsi quanto ottima per unguenti. Quali che siano le sue proprietà non ne ho mai saputo molto, ma il luogo è a dir poco incantevole, senza contare che per Yun ha sembrato rivestire una particolare importanza. Dopotutto è stata una celebrante di Lurue a restituirla alla vita.
Le sorgenti creano quattro piccolo laghetti, situati ad altezze differenti. L'intero luogo è praticamente un'alta collina verdeggiante e ci vogliono diverse ore, dalla base, per giungere fino in cima, dove si trovano delle rovine appartenenti alla prima Rashemen. E' luogo di preghiera per molti sacerdoti e fedeli e noi ci fermammo lì per rendere omaggio a Lurue e Mielikki e per passare la notte. Immagino che nessuno di noi due abbia mai goduto di una pace così assoluta. E soprattuto il sonno di entrambi, quella notte, fu quieto e profondamente ristoratore. Che sia questa una delle proprietà magiche delle acque delle sorgenti? Forse…lo spero anzi.
Il giorno seguente tornammo a valle e avemmo modo di verificare una specie di voce che circolava da parecchio. Molti viaggiatori raccontavano di continuo che alle Sorgenti spesso si vedevano degli Unicorni. Beh…avevano ragione.
Procedemmo quindi a Nord, verso quello che viene considerato, senza ombra di dubbio uno dei posti più belli, seppur strani, di Rashemen: la Vallata di Immil. E' leggenda, o forse realtà, che Mystra in persona abbia posto la sua benedizione su quel luogo, facendo sì di tenere il gelo dell'inverno lontano da lì per sempre. E' una vastissima valle protetta da una catena di monti quasi sempre innevati, un baluardo di perenne primavera in una terra gelida. La terra è calda se toccata con mano, e brulicante di vita di ogni genere. Nessun rashemi penserebbe mai di venire a cacciare qui poiché questo è un suolo sacro per noi. Si dice addirittura che gli spiriti di due Hathran defunte vi dimorino, ma che siano ben pochi quelli a cui si rivelano. A quanto sembra noi non fummo tra questi pochi fortunati.
Al centro della vallata vi è una grande roccia, che si erge per molti metri in altezza. Spessa, robusta, rassicurante. La chiamano la "Pietra dei Sogni" e sembra che abbia dei poteri particolari. Decidemmo di passare lì la notte e…inutile dire che la primavera ci contagiò per svariate ore prima di prendere sonno. Un sonno strano a dire il vero. Nel mio sogno io ero con Yun e ci trovavamo in una foresta fitta e praticamente sterminata. Soli, disarmati, sperduti ma per nulla spaventati. Fianco a fianco camminammo verso quello che sembrava essere l'unico sentiero presente…una direzione obbligata quindi. Proseguimmo per centinaia e centinaia di passi, e sembravamo come circondati dalla quiete più assoluta. Persino nell'oscurità quella foresta non sembrava aggressiva. Si udì poi un rumore dal principio tenue e poi sempre più marcato fino a divenire inconfondibile: erano dei passi. Qualcuno camminava insieme a noi in quel luogo e non tardammo a distinguere la sua figura. Era certamente una donna e nella sua mano stringeva un arco. Era veloce, agile, sfuggente. Per quanto ci sforzassimo era impossibile da raggiungere. La inseguimmo correndo più veloci che potevamo, fin quando il sentiero nel bosco non lasciò il posto ad una strada ciottolata, tipica delle vie di ingresso alla città. Una cittadella per l'esattezza, poiché possedeva imponenti fortificazioni. Alla vista di quelle mura ebbi un tremito…come un'emozione estranea che avesse pervaso il mio corpo. Paura forse…ma non mi apparteneva, di quello ero più che certo. Voltandomi vidi Yun immobile, pallida e tremante. Avevo sentito la sua paura…l'avevo avvertita e in qualche modo è come se quella sensazione avesse accelerato la mia mente. Compresi che solo un luogo, con quelle caratteristiche, poteva spaventarla così. Lei, che nonostante le fragili apparenze, possiede un'animo saldo e una volontà forte. La presi per mano e la avvicinai a me cercando di donarle il mio coraggio e la mia fermezza…e funzionò, poiché smise di tremare. Non le chiesi se conosceva quel posto. Era chiaro che dovesse essere il luogo della sua prigionia.
Restammo fermi per qualche attimo, fin quando i robusti cancelli dei bastioni non si aprirono, apparentemente animati da una forza invisibile. Quando entrammo non potemmo che vedere dolore, sofferenza, morte. Centinaia di persone chinate a terra, abbandonate a pianti disperati sui cadaveri di altri sventurati, di ogni razza, di ogni età. Neppure i bambini furono risparmiati da quell'orrore. L'intero luogo era pervaso da una sorta di nebbia luminosa, di un verde smeraldo che mi sembrò il più minaccioso dei colori. Sentii Yun stringere la presa sul mio braccio, chiedendomi di andare via di lì, che era tutto sbagliato e che era un errore trovarsi dove era stato sparso tanto sangue. Sangue…che ci ritrovammo a calpestare poiché di colpo si sparse per tutto il terreno su cui la cittadella sorgeva. Mai…mai una visione più orribile toccò la mia mente. E di colpo una voce di donna, sinistra e minacciosa: <<Si. Sapevo che saresti tornata…>> pronunciò con un basso, quasi sussurrato, tono di voce. Ma sembrava così maestosa e assordante.
<<Chi sei!? Cosa vuoi da me!?>> le rispose Yun, palesando di non conoscere chi fosse. Eppure io potevo sentire ancora la sua paura crescere senza che neanche la mia vicinanza potesse mitigarla.
<<Tu sai chi sono, bambina mia>> le rispose di nuovo quella voce. Si, ora anche io sapevo di chi si trattasse.
<<E vedo…>> irruppe una voce maschile <<…che hai portato con te un ospite molto importante. Non è forse vero, uomo di Rashemen?>> esisteva solo un uomo che potesse conoscermi lì. Ed era il padre di Yun. Soli, disarmati, intrappolati in una roccaforte di male puro. Anche la mia paura cominciò a crescere. <<Non la toccherete di nuovo! Non stavolta!>> fui io a tuonare contro di loro, anche se non potevo vederli. Vedemmo però, dalla cima della rocca, innalzarsi una sinistra forma che iniziò ad emettere dei raggi di luce verde accecante. Risate…maligne risate riempirono l'aria attorno a noi facendoci comprendere quanto potessimo essere impotenti lì. Non c'erano vie di fuga né di salvezza. La terra iniziò a tremare e ben preso sarebbe giunta la fine. Non potei fare altro che voltarmi verso Yun e guardarla negli occhi. Avrei voluto dirle "mi dispiace" ma la rassegnazione che entrambi provavamo venne di colpo spazzato via. Istintivamente ci stringemmo l'un l'altro e più il nostro legame si rafforzava, più il male che pervadeva l'esterno non riusciva a sfiorarci. Sentimmo un sibilo…una freccia senza ombra di dubbio che, rapida come un fulmine, si conficcò in una parete della rocca. E l'immagine della cittadella e di tutta l'agonia di cui era piena si infranse come un vetro al suolo.
Silenzio. Seguì un lunghissimo silenzio. Io e Yun permanemmo abbracciati l'un l'altra fin quando una terza voce di donna, stavolta calda e rassicurante, non si fece sentire. Disse: <<Vi erano due anime, disperse sul suolo del mondo. L'una in fuga, l'altra in esilio. La Bontà le fece incontrare…il Male le allontanò…la Morte le divise. Ma la Bontà, alla fine vinse la Morte, distrusse il Male e le riunì. Ora le due anime sono Una>>.
Il mondo attorno a noi mutò di nuovo, tramutandosi in un paesaggio verdeggiante. Ora ci trovavamo al centro di una radura circondata da alberi. Al nostro fianco scorreva un ruscello e di fronte avevamo una statua, più o meno a grandezza naturale. Era una figura femminile, la cui linea somigliava molto a quella della donna che rincorremmo nel bosco. Aveva un arco poggiato alla base, al suo fianco e le mani protese in avanti. Reggeva una spada, tenendola parallela al terreno. La sua lama era forgiata in un metallo nero luccicante e ad essa era applicato un monile. Una collana per la precisione, fatta a prima vista di oro e di uno zaffiro al centro, con una strana forma. Io mi sentivo interdetto…guardai Yun in volto e le chiesi cosa stava accadendo. Ma neppure lei lo sapeva. Ci avvicinammo alla statua e i due oggetti che essa reggeva iniziarono a brillare. Provai a toccare il monile ma era come se fosse incorporeo. Le mie mani lo trapassavano…come se non esistesse e ogni volta che mi avvicinavo la luce dello zaffiro, che rappresentava una testa di unicorno, si affievoliva mentre quella della spada aumentava smisuratamente. A Yun accadeva l'opposto: non riusciva a toccare la spada, ma l'amuleto brillava intensamente alla vicinanza con la sua mano. Lei riuscì a prenderlo e dallo zaffiro scaturì una luce abbagliante che durò svariati secondi e che poi si affievolì ma senza cessare. Io allungai la mano verso l'elsa della spada e potei sentirne la sostanza. L'arma iniziò a brillare e quando la presi anche da essa scaturì la medesima luce. E di nuovo quella voce di donna irruppe…ma stavolta proveniva da dietro…dalle nostre spalle. <<Le due anime…sono Una>>. Ci voltammo e finalmente potemmo vederla. Era lei. Aveva lo stesso volto della statua…possedeva una bellezza divina e guardarla negli occhi era quasi come guardare il sole. Lei guardò verso di noi e sorrise. Ed ecco che alcuni pensieri cominciarono a rincorrersi nelle nostre menti: la donna con l'arco nel bosco, la freccia alla cittadella, la statua, l'unicorno sull'amuleto e ora lei. Lo sentii chiaramente anche nella mente di Yun. La Regina: Mielikki. Avevamo visto la Dea! Qualunque altra azione ci fu impossibile. Lei chiuse gli occhi…e noi li riaprimmo per svegliarci.
In qualche modo non fui sorpreso nell'apprendere che Yun aveva fatto esattamente lo stesso sogno. Gli stessi luoghi, le stesse sensazioni…tutto. Ma fu un altro il particolare che mi "sconvolse". <<Yun…l'amuleto…>> le dissi. L'aveva attorno al collo. L'amuleto che aveva preso in sogno ora era lì con lei ed era reale. Avevo già sperimentato un fatto simile prima di allora, con l'anello di Nailean. Yun spostò lo sguardo avanti a sé e altrettanto "sconvolta" mi disse <<Ran, guarda…ai tuoi piedi…>> la spada era lì. Conficcata nel terreno ai miei piedi. Quale strano inspiegabile mistero avevamo vissuto… la Pietra dei Sogni era davvero i mistico luogo di cui tutti parlano quindi?
Ad ogni modo trovammo giusto omaggiare la Dea per i doni che ci aveva concesso. Non conoscevamo bene il loro potere, ma potevamo percepirlo entrambi anche se non riuscivamo ancora a spiegarci gli eventi in sogno vissuti. Ci fermammo alle pendici di una delle montagne, dove era l' Albero Rosso di Khelliara, un antichissimo albero sacro a Mielikki. Recitammo le nostre preghiere e le offrimmo dei doni, poi ci spostammo verso Est.
Il Bosco delle Ceneri, fu la nostra meta successiva. E' una foresta mistica, ricca di suggestione e leggende. Gli alberi sembrano quasi vivi e una fioca luce magica sembra animare tutta la vita di quel luogo. Su una piccola collinetta vi è un albero che definire secolare sarebbe riduttivo. E la più maestosa creazione della natura che mi sia capitato di vedere. Sembra quasi una montagna. Si dice che sia la dimora del leggendario Uomo dei Boschi, ossia uno degli Spiriti più antichi di tutta Rashemen. I telthor sono i signori di quel bosco. Uomini, animali, creature così devote e attaccate alla loro Terra che, dopo la morte, sono richiamate sotto forma di spiriti affinché ne divengano i guardiani protettori. Per ogni rashemi un telthor è sacro. Tentare di nuocergli, ammesso che sia possibile, equivale ad attirare le ire dell'intero popolo di Rashemen.
Passammo all'interno della foresta quasi tutto il giorno. Era strano stare insieme in una foresta senza che questa venisse scossa da eventi inspiegabili o da cascate di sangue…
Oltre il margine sud vi era un piccolo presidio, occupato da una Hathran e dai suoi berserker e non fu difficile ottenere ospitalità per la notte. Fortuna volle che i miei "fratelli" fossero soliti fare parecchio baccano durante le bevute notturne, coprendo così altri…rumori. Decisamente la Yun timida non esiste più.
Il presidio aveva anche un approdo sul lago di Mulsantir, la qual cosa ci facilità il ritorno verso casa dopo quasi dieci giorni di assenza. Una volta tornati in città soltanto Rannik ci accolse con serenità, dal momento che per un elfo dieci giorni sono poco più che un battito di ciglia. Freyda, i miei genitori e mezza Mulsantir erano pronti a darci di nuovo per dispersi. Ma ci ridemmo sopra, concordando che chiedere un po' di tempo per noi dopo più di un anno era più che onesto.
Ma come iniziai a temere qualche giorno addietro, quel momento era destinato a finire. Ne ebbi la conferma quando tornai alla Loggia e trovai una lettera indirizzata a me proveniente dalla Sembia. Era di Salix. Non c'è nulla di strano se un'amica ti scrive una lettera, ma lei mi chiedeva di raggiungerla nella sua dimora oltre il Mare delle Stelle Cadute, poiché riteneva la sua vita e quella del suo neonato figlio in serio pericolo. E io…le promisi tempo addietro di accorrere in suoi aiuto semmai una simile cosa fosse accaduta.
Dovevo andare. E, a suo dire, avrei dovuto portare con me Yun e Rannik poiché dei nefasti presagi le avevano suggerito che sarebbe stato saggio da parte mia non separarmi mai da loro. E così…dopo il quarantesimo giorno dal mio ritorno a casa dovetti decidermi ad allontanarmi di nuovo. Mi attendeva un lungo viaggio.