martedì 15 maggio 2012

Una parvenza di pace e una nuova avventura


E' trascorso quasi un mese, ormai, da quanto ho varcato i cancelli di Mulsantir per ristabilirmi qui. Per riprendere il mio posto tra la mia gente. Quaranta giorni forse, ma non di più. Non che credessi che potesse avere importanza contarli comunque. 
E' sorprendente notare come la conta di avvenimenti in questo breve periodo sia stata di gran lunga superiore a quella della Costa, alla fine di due anni di permanenza lì. Forse avevo ragione a lamentarmi, di tanto in tanto, dell'immobilità di certi momenti in quella terra o forse l'aria di casa tende a farmi vedere le cose migliori di quanto non siano in realtà. 
La caratteristica più sorprendente di Rashemen è certamente la serenità dei suoi abitanti. Gli dei ci hanno fatto dono di una terra fredda e inospitale, che non è in grado di provvedere ad una popolazione troppo abbondante. La maggior parte della superficie è ricoperta di neve per gran parte dell'anno, salvo rarissime eccezioni, e la costante presenza di creature divoratrici di uomini non favorisce certo la nostra demografia. Chiunque venga a contatto con questa dura realtà giunge spesso a comprenderci fino in fondo. Non abbiamo scelto noi di non essere rinomati come poeti o scrittori, e non abbiamo scelto noi di non indirizzare i nostri figli alla pittura piuttosto che alla spada. Da generazioni semplicemente scendiamo a patti con ciò che abbiamo, e a Rashemen o si è capaci di brandire un'arma o si diventa cibo per mostri. Quando io, Forovan, Lena e la maggior parte dei berserker della Loggia eravamo poco più che bambini, Jurak era solito ripeterci queste parole: "Potete rimanere qui, fortificarvi nel corpo e nella mente, imparare a usare la vostra paura come nutrimento per la vostra forza. Potete onorare i vostri antenati e diventare anche voi dei fieri difensori di questa terra, gioire di ogni vittoria e portare la Dea a sorridere. Ma se sentite che il gelo vi entra nelle ossa…se sentite che non riuscite a trattenere le lacrime…se credete che gli uomini siano troppo duri con voi e se sentite un bisogno incontrollato di correre a piangere tra le braccia delle vostre madri allora andate! E vergognatevi per il resto delle vostre vite!". Erano parole molto dure quelle e solo dopo molti anni ne comprendo il reale significato. E specialmente ora che mi sono stati affidati dei giovani ragazzi da iniziare. Mi sono trovato a ripeter loro le medesime parole. Un futuro guerriero viene posto di fronte a ogni genere di sofferenza e privazione ma soprattuto viene posto di fronte alle sue paure, e non occorre intrappolare la sua mente in un labirinto magico. E' sufficiente lasciarlo da solo con sé stesso e lasciare che lo scontro si disputi. Se ne uscirà vincitore, allora e solo allora potrà divenire un vero Berserker. Per quanto possa sembrare disumano questo è l'unico modo. E oggi che sono qui, ancora integro e reduce da molte battaglie, mi trovo a benedire questi insegnamenti, poiché quando si è nel cuore della tana di una Megera e si sentono delle grida di un uomo che viene lentamente fatto a pezzi, la cui disperazione non deriva dal nefasto destino spettatogli ma dalla consapevolezza che per quanto forte possa gridare nessuno potrà mai udirlo…quando la paura è ad un passo dal dominare il nostro animo, non ci saranno braccia amorevoli pronte ad accoglierci. Potremo solo afferrare quella paura, incatenarla nel nostro corpo, tramutarla in furia e poi lasciare che esploda. Essa ci rende implacabili. Moltiplica la nostra forza. E fa di noi uno strumento di distruzione per i nostri nemici.
Di certo non mi sarei aspettato di ricoprire un ruolo simile una volta tornato indietro, ma sia Jurak che mio padre concordano sul fatto che sia io il migliore per questo compito. Staremo a vedere. Ognuno di quei bambini praticamene mi odia ma un giorno comprenderanno. Io devo essere duro per poterli fortificare, e per augurare loro di divenire, in futuro, dei guerrieri più grandi di quanto io abbia mai sognato.


Sono stato lieto nell'apprendere che Yun si è fatta ben volere praticamente da tutti qui a Mulsantir. Solitamente i rashemi non sono il popolo più ospitale del mondo, ma lei ha avuto la fortuna di incontrare le persone giuste. Mio padre ha conservato un po' della rudezza del nostro popolo, ma ha finito per accettarla in meno di un giorno. Mia madre l'ha accolta come un'altra figlia e l'ha aiutata ad ambientarsi. Per non parlare poi di Freyda. Mia sorella sembra entusiasta all'idea che Yun possa diventare sua parente, e a quanto sembra non ha mancato di insegnarle alcuni particolari sugli uomini. C'è da augurarsi che Yun non prenda esempio da lei, dal momento che è sempre solita mandare via i pretendenti "sgraditi" col volto tumefatto ma temo che ormai il danno sia irrimediabile. Quelle due non me la raccontano giusta. Sarà saggio lasciare che passino tanto tempo assieme?
Ad ogni modo non posso che essere grato a mia sorella. Si è presa cura di Yun fin dal principio e non ha lasciato che le accadesse nulla. Conoscendola avrà persino rotto un osso a qualcuno che ha solo per sbaglio guardato in loro direzione. E' un tipo piuttosto…esuberante. Tende ad esserlo in ogni cosa che fa, ma è impossibile non volerle bene, specialmente per me. 


Yun ha cominciato a dedicarsi al culto di Mielikki come sua celebrante e a quanto sembra prende i suoi doveri molto molto seriamente. E' giunta a Mulsantir circa quattro mesi prima del mio ritorno, e in quatto mesi non c'è stato uomo, donna, anziano o bambino che lei non abbia in qualche modo aiutato. Così come ora non c'è uomo, donna, anziano o bambino che non mi fermi ogni giorno per le strade della città chiedendomi di lei. Parola mia: inizio ad ingelosirmi!
Le promisi, quando tornai, che le avrei mostrato alcuni dei luoghi più belli di questa terra, di cui sono giunto a conoscere praticamente ogni angolo. Le non disdegnò certo l'idea e mi sembrò una buona cosa iniziare con le Sorgenti di Lurue. Si tratta di un altopiano che ospita delle sorgenti di acqua incantata, la quale sembra essere tanto buona per dissetarsi quanto ottima per unguenti. Quali che siano le sue proprietà non ne ho mai saputo molto, ma il luogo è a dir poco incantevole, senza contare che per Yun ha sembrato rivestire una particolare importanza. Dopotutto è stata una celebrante di Lurue a restituirla alla vita. 
Le sorgenti creano quattro piccolo laghetti, situati ad altezze differenti. L'intero luogo è praticamente un'alta collina verdeggiante e ci vogliono diverse ore, dalla base, per giungere fino in cima, dove si trovano delle rovine appartenenti alla prima Rashemen. E' luogo di preghiera per molti sacerdoti e fedeli e noi ci fermammo lì per rendere omaggio a Lurue e Mielikki e per passare la notte. Immagino che nessuno di noi due abbia mai goduto di una pace così assoluta. E soprattuto il sonno di entrambi, quella notte, fu quieto e profondamente ristoratore. Che sia questa una delle proprietà magiche delle acque delle sorgenti? Forse…lo spero anzi. 
Il giorno seguente tornammo a valle e avemmo modo di verificare una specie di voce che circolava da parecchio. Molti viaggiatori raccontavano di continuo che alle Sorgenti spesso si vedevano degli Unicorni. Beh…avevano ragione.


Procedemmo quindi a Nord, verso quello che viene considerato, senza ombra di dubbio uno dei posti più belli, seppur strani, di Rashemen: la Vallata di Immil. E' leggenda, o forse realtà, che Mystra in persona abbia posto la sua benedizione su quel luogo, facendo sì di tenere il gelo dell'inverno lontano da lì per sempre. E' una vastissima valle protetta da una catena di monti quasi sempre innevati, un baluardo di perenne primavera in una terra gelida. La terra è calda se toccata con mano, e brulicante di vita di ogni genere. Nessun rashemi penserebbe mai di venire a cacciare qui poiché questo è un suolo sacro per noi. Si dice addirittura che gli spiriti di due Hathran defunte vi dimorino, ma che siano ben pochi quelli a cui si rivelano. A quanto sembra noi non fummo tra questi pochi fortunati.


Al centro della vallata vi è una grande roccia, che si erge per molti metri in altezza. Spessa, robusta, rassicurante. La chiamano la "Pietra dei Sogni" e sembra che abbia dei poteri particolari. Decidemmo di passare lì la notte e…inutile dire che la primavera ci contagiò per svariate ore prima di prendere sonno. Un sonno strano a dire il vero. Nel mio sogno io ero con Yun e ci trovavamo in una foresta fitta e praticamente sterminata. Soli, disarmati, sperduti ma per nulla spaventati. Fianco a fianco camminammo verso quello che sembrava essere l'unico sentiero presente…una direzione obbligata quindi. Proseguimmo per centinaia e centinaia di passi, e sembravamo come circondati dalla quiete più assoluta. Persino nell'oscurità quella foresta non sembrava aggressiva. Si udì poi un rumore dal principio tenue e poi sempre più marcato fino a divenire inconfondibile: erano dei passi. Qualcuno camminava insieme a noi in quel luogo e non tardammo a distinguere la sua figura. Era certamente una donna e nella sua mano stringeva un arco. Era veloce, agile, sfuggente. Per quanto ci sforzassimo era impossibile da raggiungere. La inseguimmo correndo più veloci che potevamo, fin quando il sentiero nel bosco non lasciò il posto ad una strada ciottolata, tipica delle vie di ingresso alla città. Una cittadella per l'esattezza, poiché possedeva imponenti fortificazioni. Alla vista di quelle mura ebbi un tremito…come un'emozione estranea che avesse pervaso il mio corpo. Paura forse…ma non mi apparteneva, di quello ero più che certo. Voltandomi vidi Yun immobile, pallida e tremante. Avevo sentito la sua paura…l'avevo avvertita e in qualche modo è come se quella sensazione avesse accelerato la mia mente. Compresi che solo un luogo, con quelle caratteristiche, poteva spaventarla così. Lei, che nonostante le fragili apparenze, possiede un'animo saldo e una volontà forte. La presi per mano e la avvicinai a me cercando di donarle il mio coraggio e la mia fermezza…e funzionò, poiché smise di tremare. Non le chiesi se conosceva quel posto. Era chiaro che dovesse essere il luogo della sua prigionia.



Restammo fermi per qualche attimo, fin quando i robusti cancelli dei bastioni non si aprirono, apparentemente animati da una forza invisibile. Quando entrammo non potemmo che vedere dolore, sofferenza, morte. Centinaia di persone chinate a terra, abbandonate a pianti disperati sui cadaveri di altri sventurati, di ogni razza, di ogni età. Neppure i bambini furono risparmiati da quell'orrore. L'intero luogo era pervaso da una sorta di nebbia luminosa, di un verde smeraldo che mi sembrò il più minaccioso dei colori. Sentii Yun stringere la presa sul mio braccio, chiedendomi di andare via di lì, che era tutto sbagliato e che era un errore trovarsi dove era stato sparso tanto sangue. Sangue…che ci ritrovammo a calpestare poiché di colpo si sparse per tutto il terreno su cui la cittadella sorgeva. Mai…mai una visione più orribile toccò la mia mente. E di colpo una voce di donna, sinistra e minacciosa: <<Si. Sapevo che saresti tornata…>> pronunciò con un basso, quasi sussurrato, tono di voce. Ma sembrava così maestosa e assordante.
<<Chi sei!? Cosa vuoi da me!?>> le rispose Yun, palesando di non conoscere chi fosse. Eppure io potevo sentire ancora la sua paura crescere senza che neanche la mia vicinanza potesse mitigarla.
<<Tu sai chi sono, bambina mia>> le rispose di nuovo quella voce. Si, ora anche io sapevo di chi si trattasse.
<<E vedo…>> irruppe una voce maschile <<…che hai portato con te un ospite molto importante. Non è forse vero, uomo di Rashemen?>> esisteva solo un uomo che potesse conoscermi lì. Ed era il padre di Yun. Soli, disarmati, intrappolati in una roccaforte di male puro. Anche la mia paura cominciò a crescere. <<Non la toccherete di nuovo! Non stavolta!>> fui io a tuonare contro di loro, anche se non potevo vederli. Vedemmo però, dalla cima della rocca, innalzarsi una sinistra forma che iniziò ad emettere dei raggi di luce verde accecante. Risate…maligne risate riempirono l'aria attorno a noi facendoci comprendere quanto potessimo essere impotenti lì. Non c'erano vie di fuga né di salvezza. La terra iniziò a tremare e ben preso sarebbe giunta la fine. Non potei fare altro che voltarmi verso Yun e guardarla negli occhi. Avrei voluto dirle "mi dispiace" ma la rassegnazione che entrambi provavamo venne di colpo spazzato via. Istintivamente ci stringemmo l'un l'altro e più il nostro legame si rafforzava, più il male che pervadeva l'esterno non riusciva a sfiorarci. Sentimmo un sibilo…una freccia senza ombra di dubbio che, rapida come un fulmine, si conficcò in una parete della rocca. E l'immagine della cittadella e di tutta l'agonia di cui era piena si infranse come un vetro al suolo. 
Silenzio. Seguì un lunghissimo silenzio. Io e Yun permanemmo abbracciati l'un l'altra fin quando una terza voce di donna, stavolta calda e rassicurante, non si fece sentire. Disse: <<Vi erano due anime, disperse sul suolo del mondo. L'una in fuga, l'altra in esilio. La Bontà le fece incontrare…il Male le allontanò…la Morte le divise. Ma la Bontà, alla fine vinse la Morte, distrusse il Male e le riunì. Ora le due anime sono Una>>.
Il mondo attorno a noi mutò di nuovo, tramutandosi in un paesaggio verdeggiante. Ora ci trovavamo al centro di una radura circondata da alberi. Al nostro fianco scorreva un ruscello e di fronte avevamo una statua, più o meno a grandezza naturale. Era una figura femminile, la cui linea somigliava molto a quella della donna che rincorremmo nel bosco. Aveva un arco poggiato alla base, al suo fianco e le mani protese in avanti. Reggeva una spada, tenendola parallela al terreno. La sua lama era forgiata in un metallo nero luccicante e ad essa era applicato un monile. Una collana per la precisione, fatta a prima vista di oro e di uno zaffiro al centro, con una strana forma. Io mi sentivo interdetto…guardai Yun in volto e le chiesi cosa stava accadendo. Ma neppure lei lo sapeva. Ci avvicinammo alla statua e i due oggetti che essa reggeva iniziarono a brillare. Provai a toccare il monile ma era come se fosse incorporeo. Le mie mani lo trapassavano…come se non esistesse e ogni volta che mi avvicinavo la luce dello zaffiro, che rappresentava una testa di unicorno, si affievoliva mentre quella della spada aumentava smisuratamente. A Yun accadeva l'opposto: non riusciva a toccare la spada, ma l'amuleto brillava intensamente alla vicinanza con la sua mano. Lei riuscì a prenderlo e dallo zaffiro scaturì una luce abbagliante che durò svariati secondi e che poi si affievolì ma senza cessare. Io allungai la mano verso l'elsa della spada e potei sentirne la sostanza. L'arma iniziò a brillare e quando la presi anche da essa scaturì la medesima luce. E di nuovo quella voce di donna irruppe…ma stavolta proveniva da dietro…dalle nostre spalle. <<Le due anime…sono Una>>. Ci voltammo e finalmente potemmo vederla. Era lei. Aveva lo stesso volto della statua…possedeva una bellezza divina e guardarla negli occhi era quasi come guardare il sole. Lei guardò verso di noi e sorrise. Ed ecco che alcuni pensieri cominciarono a rincorrersi nelle nostre menti: la donna con l'arco nel bosco, la freccia alla cittadella, la statua, l'unicorno sull'amuleto e ora lei. Lo sentii chiaramente anche nella mente di Yun. La Regina: Mielikki. Avevamo visto la Dea! Qualunque altra azione ci fu impossibile. Lei chiuse gli occhi…e noi li riaprimmo per svegliarci.



In qualche modo non fui sorpreso nell'apprendere che Yun aveva fatto esattamente lo stesso sogno. Gli stessi luoghi, le stesse sensazioni…tutto. Ma fu un altro il particolare che mi "sconvolse". <<Yun…l'amuleto…>> le dissi. L'aveva attorno al collo. L'amuleto che aveva preso in sogno ora era lì con lei ed era reale. Avevo già sperimentato un fatto simile prima di allora, con l'anello di Nailean. Yun spostò lo sguardo avanti a sé e altrettanto "sconvolta" mi disse <<Ran, guarda…ai tuoi piedi…>> la spada era lì. Conficcata nel terreno ai miei piedi. Quale strano inspiegabile mistero avevamo vissuto… la Pietra dei Sogni era davvero i mistico luogo di cui tutti parlano quindi?
Ad ogni modo trovammo giusto omaggiare la Dea per i doni che ci aveva concesso. Non conoscevamo bene il loro potere, ma potevamo percepirlo entrambi anche se non riuscivamo ancora a spiegarci gli eventi in sogno vissuti. Ci fermammo alle pendici di una delle montagne, dove era l' Albero Rosso di Khelliara, un antichissimo albero sacro a Mielikki. Recitammo le nostre preghiere e le offrimmo dei doni, poi ci spostammo verso Est.


Il Bosco delle Ceneri, fu la nostra meta successiva. E' una foresta mistica, ricca di suggestione e leggende. Gli alberi sembrano quasi vivi e una fioca luce magica sembra animare tutta la vita di quel luogo. Su una piccola collinetta vi è un albero che definire secolare sarebbe riduttivo. E la più maestosa creazione della natura che mi sia capitato di vedere. Sembra quasi una montagna. Si dice che sia la dimora del leggendario Uomo dei Boschi, ossia uno degli Spiriti più antichi di tutta Rashemen. I telthor sono i signori di quel bosco. Uomini, animali, creature così devote e attaccate alla loro Terra che, dopo la morte, sono richiamate sotto forma di spiriti affinché ne divengano i guardiani protettori. Per ogni rashemi un telthor è sacro. Tentare di nuocergli, ammesso che sia possibile, equivale ad attirare le ire dell'intero popolo di Rashemen. 
Passammo all'interno della foresta quasi tutto il giorno. Era strano stare insieme in una foresta senza che questa venisse scossa da eventi inspiegabili o da cascate di sangue…
Oltre il margine sud vi era un piccolo presidio, occupato da una Hathran e dai suoi berserker e non fu difficile ottenere ospitalità per la notte. Fortuna volle che i miei "fratelli" fossero soliti fare parecchio baccano durante le bevute notturne, coprendo così altri…rumori. Decisamente la Yun timida non esiste più.


Il presidio aveva anche un approdo sul lago di Mulsantir, la qual cosa ci facilità il ritorno verso casa dopo quasi dieci giorni di assenza. Una volta tornati in città soltanto Rannik ci accolse con serenità, dal momento che per un elfo dieci giorni sono poco più che un battito di ciglia. Freyda, i miei genitori e mezza Mulsantir erano pronti a darci di nuovo per dispersi. Ma ci ridemmo sopra, concordando che chiedere un po' di tempo per noi dopo più di un anno era più che onesto.
Ma come iniziai a temere qualche giorno addietro, quel momento era destinato a finire. Ne ebbi la conferma quando tornai alla Loggia e trovai una lettera indirizzata a me proveniente dalla Sembia. Era di Salix. Non c'è nulla di strano se un'amica ti scrive una lettera, ma lei mi chiedeva di raggiungerla nella sua dimora oltre il Mare delle Stelle Cadute, poiché riteneva la sua vita e quella del suo neonato figlio in serio pericolo. E io…le promisi tempo addietro di accorrere in suoi aiuto semmai una simile cosa fosse accaduta.
Dovevo andare. E, a suo dire, avrei dovuto portare con me Yun e Rannik poiché dei nefasti presagi le avevano suggerito che sarebbe stato saggio da parte mia non separarmi mai da loro. E così…dopo il quarantesimo giorno dal mio ritorno a casa dovetti decidermi ad allontanarmi di nuovo. Mi attendeva un lungo viaggio.

domenica 13 maggio 2012

La Costa della Spada


E' sorprendente, e nello stesso tempo comico, notare come molti degli insegnamenti ricevuti dal popolo elfico siano tutt'ora presenti nella mia mente a condizionare alcuni modi di pensare. Ad esempio, dando uno sguardo alle parole scritte fino ad ora nella loro totalità, non ho potuto fare a meno di domandarmi se un ipotetico lettore possa trovare il "racconto" come frammentato e privo di una coerenza temporale. Un elfo avrebbe trascritto gli eventi nell'esatto ordine in cui sono accaduti, avendo cura di descrivere con minuzia ogni dettaglio così che il lettore potesse materializzare nella propria mente quanto stava leggendo e arrivare quasi a viverlo e vederlo attraverso gli occhi dello scrittore. Immagino quindi che gli Elfi possano vantare certamente gli storici più abili di tutto il mondo…ma io non sono un elfo. E il lettore di queste memorie per ora non sono che io medesimo. 
Ma le parole sono destinate a perdurare anche quando gli uomini non divengono che cenere e polvere, e ricordi nei cuori e nelle menti dei loro cari che tornano a salutarli ai loro sepolcri, e anime e coscienze rivendicate dagli dei che hanno adorato e da questi condotti a trascorrere l'eternità nelle loro meravigliose e sempreverdi dimore. Forse un giorno mia figlia leggerà questo diario…che idea si farà dell'uomo che ha deciso di chiamare Padre? 
Ammetto invero: soltanto l'estrema lontananza nel tempo di questo evento contribuisce a sopire questa mia piccola paura. Chi non rischierebbe di non sentirsi all'altezza quando qualcun altro mette la propria vita nelle sue mani senza condizione alcuna e con una cieca fiducia?

La Costa della Spada è stata certamente il luogo più strano in cui mi sia ritrovato a vivere. Posso a buon diritto affermarlo pur avendo vissuto unicamente a Rashemen come alternativa. Ho detto molte volte che quella parte di mondo è nata con un atroce destino scritto, ossia quello di non dover mai vedere la propria gente vivere in pace, e adesso, ripensando a quanto veduto e vissuto lì, posso esserne sempre più convinto. 
La sua storia cominciò certamente meglio di come sta finendo, dal momento che quella terra ha per lungo tempo visto il fiorire dell' Impero di Illefarn, una grande corte elfica che governò migliaia di anni fa e che prosperò nella magia, nella pace, nell'arte e nella musica. Era un periodo florido per il Popolo Fiero, che creava città e regni ovunque nel mondo e che vedeva la sua armonia dominare quasi ogni luogo. Se si va a scavare profondamente nel passato si può scoprire che ogni luogo della Costa della Spada aveva un nome nella lingua degli Elfi prima che gli Uomini ci mettessero piede. 
Invero vi furono due imperi di Illefarn, esistiti a breve distanza nel tempo. Lo splendore degli elfi, per quanto radioso e a tratti accecante se guardato con gli occhi di un uomo, non era destinato a durare per sempre. Il Popolo Fiero venne dilaniato da quasi cinquemila anni di guerra e molto…moltissimo fu il sangue versato in quel periodo nero delle loro cronache, noto come "le Guerre della Corona". E' loro parola che Corellon in persona, sovrano di tutti i Seldarine e padre creatore degli elfi, dovette lasciare il suo trono in Arvandor per porre fine al conflitto. Eppure il danno era ormai fatto e il Popolo Fiero iniziò la sua "ritirata" da Faerun per trovare rifugio nel regno insulare di Evermeet, tutt'ora loro grande roccaforte. Tra i pochi baluardi della loro civiltà restò la Seconda Illefarn, un impero forgiato da un'alleanza tra gli Elfi del bosco di Ardeep e i Nani di Dardath. Elfi e Nani insieme…una strana unione che è raro, se non impossibile, trovare ai giorni d'oggi. Non so se sia stato più questo fattore a contribuire allo sfaldamento dell'Impero, o se abbia contribuito maggiormente la minaccia del crescente potere di Netheril a est, o le invasioni orchesche delle Guerre dei Portali o, se più semplicemente, gli elfi avessero fatto il loro tempo. Syglaeth Audark, ultimo Coronal di Illefarn, comandò alla sua gente di unirsi alla "ritirata" e di trovare dimora ad Evermeet.
Eppure è curioso notare come nonostante la loro era fosse giunta al termine, fu proprio un elfo a dare inizio al dominio degli Uomini sulla Costa della Spada. La città che ora chiamano Neverwinter ebbe come lord fondatore Halueth Never, che ne fu primo Re, e anche ai giorni d'oggi svolge un ruolo importante…secondo alcuni almeno.



Per quel che riguarda me credo di aver provato un minimo di stima soltanto per il perduto sovrano della città, Nasher Alagondar. Un valente guerriero di fede lo descrivevano molti, e incredibilmente abile a riscuotere stima e considerazione. Perse la vita durante una sanguinosa battaglia durata quasi sessanta giorni e sessanta notti, e svoltasi tanto sulla terra quanto sul mare. Alcune forze demoniache assediarono la città e, sebbene sconfitte e respinte, finirono per consumare l'animo e il morale degli abitanti. Io vissi molto di più vicino ad una Neverwinter popolata da uomini senza coraggio. Difficile persino definirli uomini per me. E meno di tutti il loro sovrano, chiamato Agenore Quinland, un mercante e cantore salito troppo in alto, che avrebbe dovuto restare relegato alla sua carovana e alla sua lira. La sua reggenza trasformò Neverwinter da una città di sapienti e di cavalieri in una città di decadenti e sedicenti artisti, prostitute e assassini. Gli stessi nobili di cui si circondava tramavano contro di lui e non nego di aver sperato, di tanto in tanto, che riuscissero a toglierlo di mezzo o a farlo cadere in disgrazia. Non sono mai riuscito a passare più di uno o due giorni in quel luogo. Mi sentivo soffocare e ancor di più mi soffocava la mancanza di carattere delle persone che vi abitavano. Preferivo trascorrere il mio tempo lì dove fui catapultato: nel bosco.


Se la Costa della Spada è un luogo burrascoso, il bosco lo è certamente molto oltre la media di ogni altro luogo. Sin dai primi momenti della mia permanenza notai che era una sorta di terra di nessuno, con molte persone che professavano una libertà assoluta ma che, nel contempo, hanno sempre cercato di divenirne i signori incontrastati.
In principio io e altri guardiaboschi, e alcuni druidi, ci unimmo per tentare di difendere la foresta contro i pericoli che la affliggevano. Ma evidentemente gli scopi di alcuni non erano i medesimi del gruppo. I druidi, ad esempio, ritenevano che dovessero essere loro a dominare su ogni cosa e ogni persona, arrivando persino a pretendere indiscusso rispetto e riverenze. Rispetto sulla scorta di cosa? Per il solo fatto di aver appreso dei rudimenti di magia per far crescere le piante più in fretta o per evocare qualche animale? Che rispetto devo a chi, nel momento del bisogno, si nascondeva o fuggiva? Esiste una parola per definire gente simile: codardi. Quale rispetto un guerriero deve a un codardo?
E' pesante per me, nonché inutile, scrivere di quanto feci in compagnia di quelle persone. Alcune erano di indubbio valore, questi si, ma dopo la resa dei conti con Bordug il gruppo si sfaldò…e forse fu meglio così perché presto o tardi saremmo implosi comunque. Ancor ora ho conservato un gran disprezzo per i druidi. E in tutta franchezza…non credo che passerà.
Cosa fecero gli altri non lo seppi e non volli saperlo. Per quanto riguarda me, trovai per qualche tempo dimora alla Cittadella di Helm. Gli dei sapevano se quei soldati avessero bisogno di una mano esperta per comprendere da che parte impugnare una spada…


Fu la mia neonata amicizia con gli Elfi a far sì che io rimettessi piede nella foresta. Dopo la morte di Nailean, la Casa dei Mraerital rischiò di sfaldarsi per sempre, ma con l'arrivo di Akhelaytas, oracolo di Corellon Larethian, gli eventi presero una piega inaspettata. Alcuni elfi guidati da lui trovarono un antico Portale del Canto, ossia una sorta di porta magica usata dagli abitanti di Illefarn per spostarsi in altri luoghi. Giunsero alle rovine di Caras Narbeleth, che tradotto in lingua comune significa "la dimora del tramonto", dove liberarono gli eredi dell'ultimo Coronal dell'Impero. Venne così fondata Everantha, la prima comunità elfica nella Costa dopo la ritirata, e venne eretto il castello di Naitheraska per fungere da baluardo difensivo. Lì io e Rannik ci trasferimmo,e assunsi il compito di guidare e addestrare gli elfi che avessero voluto difendere la loro gente con le armi. Il cielo mi perdoni…avranno anche una lunga tradizione di spada ma non sono proprio fatti per combattere! E come se non bastasse sono estremamente restii ad imparare da chiunque non sia un elfo, ma pazienza. Paradossalmente il più aperto al dialogo era proprio Akhelaytas, ragione per cui finì per diventare il più grande amico che avessi lì dentro, ma non l'unico per fortuna.


Tra di essi c'era anche un'altra persona a cui mi trovai molto legato. Rannik la adorava, senza mezze misure. Si chiamava Elanor ed era una barda, molto abile nella sua arte anche se non si riteneva quasi mai all'altezza delle situazioni in cui si trovava. La ricordo quasi sempre così…insicura, timida, spesso con un'espressione triste sul volto, certamente frutto di ricordi scomodi di un passato che non riusciva a dimenticare. Eppure, una volta abbattuta quella sua barriera di diffidenza, scoprii una persona davvero molto gradevole, gentile e solare. Una vera sorpresa insomma.
Passavo molto tempo in sua compagnia. Per la verità lei passava il tempo nella vana speranza di potermi insegnare a scrivere (allora non sapevo neppure prendere in mano una penna!), e io nella vana speranza di poterle insegnare a tirare con l'arco. Così come non tutti nascono per essere poeti o letterati, è vero che non tutti nascono per essere combattenti e lei rientrava certamente in questa seconda categoria. Ma non fu certo un insegnamento fallito la cosa più strana che mi capitò con lei. Akhelaytas, e molti altri elfi del castello, sembravano a tutti i costi volermi spingere tra le sue braccia. L'oracolo arrivò persino a dirmi che non si sarebbe stupito, ma anzi si sarebbe rallegrato, se io ed Elanor fossimo arrivati a concepire un figlio. Non comprenderò mai questa usanza elfica…per loro è quasi normale concedersi ad altri anche se si è già legati. Forse sarebbe saggio, da parte mia, non commentare questo loro modo di fare dal momento che neppure io fui un campione della fedeltà. Errore per cui ancora maledico me stesso visto che non so ancora quanto mi verrà a costare. 
Ad ogni modo la mia vita a Naitheraska fu quanto di più quieto e tranquillo io riesca a ricordare. Le mura elfiche non soffocano coma quelle umane.



Non persi ad ogni modo l'abitudine di fare lunghe passeggiate per il bosco, sia sui sentieri battuti che su quelli nascosti. Il mio modo di cacciare era paradossale per alcuni. Loro se ne stavano nascosti aspettando che la loro preda si facesse vedere, mentre io mi mostravo apertamente aspettando che qualche creatura maligna o nemico ingenuo arrivasse a considerare me come preda…salvo poi ricredersi l'attimo prima di trapassare. E' un metodo molto redditizio, a patto che si posseggano i giusti…"doni".
Una notte, proprio nel cuore della foresta, venni raggiunto da una persona assai improbabile. No, non si trattava di Salix, non stavolta…o forse dovrei dire non ancora, dal momento che non l'avevo ancora conosciuta, ma bensì di un'altra abitante di città. Come faccio a saperlo è piuttosto semplice: i suoi passi erano insicuri. Non certi e diretti come nelle strade di città. E' consuetudine, quando si incontra qualcuno di sconosciuto, chiedere come si chiami. Lei rispose: "considerami un sogno". Ad oggi non seppi mai con chi spesi quella nottata, e quella successiva a parlare. Le raccontai brevemente chi io fossi e come mai fossi lì. Non mi dilungai troppo dal momento che non mi sembrava molto interessata a qualsivoglia racconto. Anzi…dal suo volto era fin troppo comprensibile una preoccupazione ma non potendo far domande non potei saperne nulla. Il suo aspetto poi non faceva che rendere più spesso l'alone di mistero di cui era circondata, poiché era chiaro che venisse dal Sud. E certamente non da un luogo in cui la neve è spesso sovrana della terra. Le sue parole furono dannatamente veritiere. Fu un sogno…scomparve così com'era apparsa, anche se prima di andarsene mi disse che non desiderava rivelare chi era non per eccessiva riservatezza, ma perché se lo avesse fatto molto probabilmente io l'avrei uccisa o comunque si sarebbe scatenata una guerra. Non posso certo negare che il suo intuito le avesse suggerito il modo corretto di comportarsi. Così come non posso negare di non sembrare rassicurante verso chi considero un nemico o un pericolo e se lei fosse stata una seguace di Malar o una Durthan, cosa assai più probabile date le sue vesti, si…l'avrei uccisa lì dove si trovava. Chi fosse ho smesso di chiedermelo da molto tempo. Ma se dovessi ritrovarla non nego che mi piacerebbe mettere in chiaro le cose.


Seguì un periodo di breve quiete. Certo vi era sempre qualche isolato scontro ma fu una cosa che arrivai a reputare normale. Anzi, paradossalmente chiunque si insospettiva se nella foresta vi era troppa quiete poiché solitamente preannunciava un momento che si sarebbe rivelato assai arduo da superare. Mi seccò molto apprendere di aver avuto ragione ancora una volta. L'approssimarsi dell'inverno rese evidente che sarebbe stata una stagione piuttosto rigida, anche se nessuno si aspettava che sarebbe stata tanto rigida da far rischiare l'estinzione di ogni abitante in quella zona. 
Gelo…un gelo pungente e duraturo come non ne avevo mai sentiti. Così intenso che costrinse chiunque ad adottare precauzioni magiche per evitare di soccombere. Io non feci certo eccezione, ma gli abitanti di Neverwinter, e il suo Re su tutti, non sembrarono volersi allineare a questo uso. I rapporti tra i cittadini e i silvani erano sempre stati tesi, ma in quel periodo si arrivò più volte vicini alla guerra. Quinland era deciso a fare di tutto per assicurare alla sua gente un fuoco per riscaldarsi  anche se sospetto che il suo fosse un fine più politico che caritatevole. Di contro chi viveva nei boschi temeva che avrebbe visto la propria casa distrutta. Queste paure crebbero a dismisura finendo per contaminare ogni individuo, fin quando non si concretizzò con la formazione di quella che fu chiamata l' "Alleanza". 
Alleanza…alleanza di che cosa? Dal mio punto di vista non erano che una schiera, più o meno folta, di bifolchi armati di forcone e guidati da individui ancor più squilibrati di loro. Si professavano combattenti per una giusta causa, ma i loro metodi erano insani e disonorevoli. Spargere trappole, attaccare convogli indifesi, uccidere anziani e uccidere anche bambini. Che fosse rabbia o più semplicemente desiderio di non vedere altri futuri nemici questo non lo so. Quel che so è che spesso dovetti dissuaderli dal compiere le loro malefatte, a volte con le parole…altre con la spada. Giunsi persino ad incontrare i loro capi, che con pari disonore dei loro sottoposti, celarono i loro volti dietro a delle maschere. Quercia, Orso, Cervo…così si facevano chiamare. Tra di essi uno mi era noto: Saevel, come me seguace della Regina delle Foreste. Fu lui a dirmi quasi tutto ciò che potei sapere sull'Alleanza, compreso il fatto che spesso i vari componenti non erano neppure in contatto tra di loro. Come si usa dire in questi casi "la mano destra non sa cosa fa la sinistra", e conoscendo bene il perché spesso andavo a parlargli lui fu molto lesto a dissociarsi da chi usava metodi insani per combattere. Quando apparve chiaro che non esisteva modo di farli ragionare o quantomeno di convincerli a combattere in modo onorevole io presi le distanze da loro…e dai druidi che li seguivano. Ancor oggi non mi spiego come mai Mielikki, Silvanus e Lurue quei druidi non li abbiano folgorati. Sarebbe stata una giusta fine per loro. 
Concordai con Akhelaytas che fin quando Everantha e Naitheraska sarebbero rimaste fuori dal conflitto, noi non avremmo avuto nulla a che fare con gli eventi che si susseguivano. Ma quando gli uomini dell'Alleanza decisero di circondare il castello…avemmo qualcosa da obiettare. Nella fattispecie io. I guardiaboschi a volte tendono a pensare che la loro capacità di muoversi furtivamente possa assicurare loro molte vittorie. Credono che le loro frecce possano abbattere qualsiasi nemico. Ma che fare quando questo nemico ha un udito oltremodo allenato e la sua pelle è così dura da non essere scalfita da una freccia? La risposta a questo interrogativo li fece desistere da ulteriori pazzie. Senza contare che, inoltre, ero riuscito a convincere una persona a fornirci qualche informazione anche sui movimenti delle forze di Neverwinter, che sarebbero certamente scese in guerra contro l'Alleanza.


Stavolta si…si tratta proprio di Salix. Si professava una mercante, come tutti gli abitanti della Sembia, ma venni a sapere da lei medesima che la sua specialità era proprio la ricerca e la raccolta di informazioni, campo nel quale la sua abilità era molto notevole. 
Salix…o Selenia. Mi è arduo riuscire a credere che possano esistere più persone in un solo corpo, ma non c'è altra spiegazione per la sua condizione. Era due persone in una. L'una molto dolce, pacata e allegra. L'altra invece fredda, calcolatrice, metodica e spietata. La conobbi principalmente sotto questo secondo aspetto, proprio per questo più ripenso al tempo trascorso insieme e più non posso fare a meno di pormi certe domande. Quando eravamo nel rifugio, ad esempio, mentre mi battevo con l'uomo di Kara-Tur che l'aveva aggredita…perché è rimasta in disparte a guardare? E quando lo ebbi abbattuto…perché si avvicinò a quel corpo morto come se nulla fosse? E quando era così cortese da leggere per me le lettere di Yun…come mai profondeva tanto impegno per farmi immedesimare in quei fatti? 
Quando manifestò l'altro lato di se, vale a dire quello di Salix, ebbi l'impressione di avere di fronte una persona del tutto diversa. Incapace di fare del male a chiunque, incapace di ira o rabbia e, c'è mancato poco, timorata persino della propria ombra. Una differenza abissale, come se in qualche modo avesse rifiutato in tutto la parte maligna dentro di sé, giungendo alla creazione di due entità distinte. Era solita definire sé stessa come figlia della menzogna. Mi viene da domandarmi, quindi, se non giungesse di proposito a farmi soffrire certe volte. Se così dovesse essere, pur considerandola ora un'amica, non credo che riuscirei a perdonarla.
Quel che più mi rese interdetto di lei, ad ogni modo, non era la sua doppia personalità, ma il burrascoso rapporto con suo padre, un individuo che amava e odiava allo stesso tempo. Quando dico "amava" non intendo quel legame d'amore che si instaura tra padre e figlia. Intendo invece che lei e suo padre si amavano carnalmente. Lo ammetto…iniziai a guardarla in modo diverso una volta appreso questo particolare. Anche per me, che vengo definito un selvaggio, una tale cosa andava e va oltre qualsiasi limite consentito. Se questa è la civiltà…sono ben lieto di essere considerato un incivile. 
Lei ammise che si accompagnava a me per trovare una protezione. Qualcuno che potesse, all'occorrenza, difenderla dai suoi nemici. Non sono solito negare un aiuto se mi viene richiesto, ma non sono neppure solito elargirlo a chiunque. Conoscevo bene il suo carattere, e la sua tendenza ad immischiarsi in cose troppo grandi di lei nonché quella a procurarsi più nemici di quanti potesse gestirne. Le dissi, quindi, che l'avrei difesa solo contro sciagure che non avesse lei stessa contribuito a scatenare. Una volta appreso che ero, a mia volta, figlio di una mercante le apparve chiaro come mai era così arduo raggirarmi o smuovermi.
Dopo il mio ritorno a Rashemen sono molte le domande che a volte mi pongo sulle persone che incontrai dall'altra parte del mondo. In particolare spero che Naitheraska sia ancora in piedi e che non fosse la mia sola presenza a scoraggiare i bifolchi dell'Alleanza dall'assaltarla. Così come spero che il bosco non sia diventato prima un campo di battaglia e poi un immenso cimitero. Così come spero che Salix non si sia messa in un guaio, stavolta, davvero troppo grande. 
Ma forse è tempo che lasci andare questi pensieri e che inizi sul serio a recuperare la mia vita. Si…voglio tornare a preoccuparmi dei thayan, dei megeridi e delle loro madri, e delle Durthan anche se un'ultima domanda mi rimane, e temo non ci sia modo di eluderla. Ho la certezza che il mio esilio nella Costa sia stata opera di Mielikki. Non è raro che gli dei agiscano così. Ma ha fatto sì che io imparassi molto, che cambiassi a tal punto da riuscire ad impressionare persino mia madre. Più ci penso e più mi convinco che Ella non abbia soltanto voluto impartirmi una grande lezione. Ma allora a quale scopo spingermi a cambiare fino a questo punto? Ecco un'altra risposta che, per ora, va oltre la mia comprensione.

mercoledì 9 maggio 2012

Di nuovo a Mulsantir


Spesso siamo portati a credere che gli eroi delle grandi storie possano provare piacere nel bearsi della gloria che conquistano con le loro notevoli e innate doti. Uomini e donne straordinari con umili origini, ma che elevano il loro coraggio e la loro audacia a tali livelli da divenire infine persone importanti, magari Re o Regine, oppure grandi Cavalieri o guerrieri leggendari. Non fu diverso per Yvengi, immagino, l'uomo che divenne il primo Signore di Ferro di Rashemen. Benchè certamente dotato di forza e coraggio fuori dal comune, egli non era diverso da ogni altro berserker di questa terra dopo il crollo di Imaskar. Avrebbe, forse volentieri, trascorso la sua vita in pace nella sua casa, con la sua antica tribù, circondato dai suoi affetti e dalla memoria dei suoi antenati, vivendo di quel poco che questa spoglia terra ci dà da sempre. Ma la vita non gli ha certo domandato cosa voleva, così come non gli domandò se era suo desiderio affrontare il signore demoniaco che minacciava, con la sua malignità, ogni angolo di questa parte di mondo. Così come non gli domandò se desiderasse incontrare e scoprire le donne che in principio erano note come le eredi dell'ormai perduto Impero di Raumathor. Ma tutto ciò accadde, indipendentemente dalla sua volontà. La sua alleanza con quelle incantatrici determinò la sua vittoria, la quale a sua volta determinò il patto che diede origine alla casa che ora chiamiamo Rashemen.
Il padre di mio padre raccontò questa storia ai suoi figli, perché comprendessero da che uomini discendono e perché la forza e il coraggio del nostro primo Re potesse ispirarli nel cammino che avevano deciso di seguire. Allo stesso modo mio padre raccontò questa storia a me e poi a Freyda, così che comprendessimo da quale nobile stirpe di uomini traevamo il nostro lignaggio. Da bambino non avevo altro desiderio che replicare questa gloria, ma ora, col senno sopraggiunto e dopo molte volte che sono andato vicino a perdere la vita, sia nei fatti che nei pensieri, mi domando: a questi grandi uomini, che per tutti noi sono d'esempio, quanto era gradita la strada che il destino ha fatto loro percorrere?
Mi rendo conto che sia un interrogativo complesso, che richiederebbe una risposta altrettanto complessa, la quale temo sia oltre la mia portata. Non ho certo la presunzione di rispondere per Yvengi o per qualsiasi altro grande uomo della nostra storia o di quella di altri. Nè ho la presunzione di pretendere di essere accomunato a loro o di affermare che la mia esperienza possa essere assimilata a quella da loro vissuta. Posso solo dire che, per parte mia, ho imparato che ben raramente ciò che è necessario fare ci aggrada. Ma è pur sempre necessario, anche se nell'immediato possiamo non comprenderne lo scopo.
Ma tutto ciò non fa che condurmi di interrogativo in interrogativo, non ultimo quello su cosa possa aspettarmi ora che ho finalmente rimesso piede a Mulsantir. 
E' stato bello…indescrivibilmente bello poter respirare nuovamente l'aria di casa e poter rivedere un panorama familiare. Le porte della città sono esattamente come le ricordavo, e come del resto sono sempre state. Giunsi qui per mezzo dell'anello magico recuperato nelle rovine della Corte degli Elfi Acquatici, ed era già abbondantemente trascorso il giorno. La notte e la luna avevano reclamato il loro posto, anche se quest'ultima non ci era dato poterla osservare. La volta celeste è quasi sempre coperta sui cieli di Rashemen, quasi eternamente spazzati da venti gelidi, ghiaccio e neve e il giorno in cui feci ritorno non era diverso da molti altri qui. Ma per me…ha avuto un sapore particolare. Dei…che bella sensazione fu avere di nuovo un tremito per il gelo dell'aria.


Avevo dimenticato quanto potesse essere gravida di vita, nonostante sorga in un luogo non esattamente ospitale. Il fiume che le scorre vicino diventa di ghiaccio durante l'inverno, ed è così solido da poterlo percorrere a bordo di un carro per mercanti. Gli stessi mercanti che popolano il bazar più o meno al centro della città, che riunisce molti individui provenienti anche dal continente più a est ed è un'attività che fa rimanere la città sveglia per molte otre anche dopo il tramonto. 
Rannik si guardava attorno piuttosto incuriosita. Doveva certamente essere la prima volta che vedeva una città umana in attività ma contrariamente a quanto mi aspettassi non fece una piega. Forse, e dico forse, Akhelaytas aveva un po' esagerato nell'affermare che un infante elfico rischia di impazzire se cresciuto da umani e tra umani. Ma ad ogni modo non era quella la mia meta. Quella sera non intendevo perdere tempo e così mi diressi immediatamente verso la parte rialzata, lì dove vi erano la Loggia e i templi. Non era cambiato poi molto, segno questo che i cani di Telflamm non erano riusciti neppure ad avvicinarsi a sufficienza alle mura da poter minacciare la città. Vi era anche un'allegra brigata di bambini che non volevano saperne di passare la notte dormendo, intenti com'erano a martirizzare una persona che sembrava, almeno all'apparenza, di buon grado disposta ad averli attorno. Ricordi dell'infanzia che tornano alla mente…di quando ero io una piccola canaglia che non faceva che tirare palle di neve alla povera Sheva, che ora è la più anziana delle Hathran in città. 
L'ho sempre considerata come una sorella maggiore. La ricordo quando, più di venti anni fa, lei era nel pieno della sua gioventù…e anche della sua pazienza. E ora rivedevo quelle scene in quel che accadeva di fronte ai miei occhi: i bambini che tiravano palle di neve e quella donna che, ridendo, rovesciava addosso a loro dell'acqua magicamente creata. Mi venne da ridere, a pensare a quando alla loro età, di lì a poco mi sarei trovato, invece, a dover nuotare nella gelida acqua del fiume… 
Mi fermai per salutare quelle piccole canaglie e anche quella donna. Ma non la riconobbi subito, dal momento che il suo volto era parzialmente nascosto dalla penombra. Rannik invece l'aveva riconosciuta benissimo e si catapultò verso di lei per abbracciarla. La cosa mi lasciò interdetto, ma ne compresi la ragione di lì a poco, quando i tenui raggi della luna che riuscivano a filtrare le nubi illuminarono il volto di Yun.


Tremai. Il freddo della mia terra non era mai stato così intenso. Ma perché? Non era forse quello che stavo desiderando da così a lungo potermi finalmente ricongiungere a lei? Indubbiamente si, eppure avevo veduto quel momento così tante volte nei miei sogni che avevo paura di essere ancora in viaggio e di essermi assopito da qualche parte. Una paura legittima ribadisco. Molte volte mi era capitato di poterla vedere, ma nel momento in cui cercavo di toccarla la sua immagine spariva e la mia mente mi riconduceva alla realtà. La vedevo sorridente nei miei sogni…ma quando mi svegliavo ricordavo dov'era e cosa stava patendo.
Ma questa volta fu diverso. Io ero incredulo…e anche se non lo ammetterà mai, lo era anche lei. Immagino sia una reazione più che normale dopotutto. Attendi una cosa per così tanto tempo che quando finalmente riesci a trovarla non puoi fare a meno di domandarti se sia reale. E lei lo era, perché quando l'abbracciai potei sentire la sua vicinanza. L'avevo finalmente ritrovata…e la mia reazione, lo ammetto senza vergogna alcuna, me l'aspettavo da sempre. Non riuscivo a parlare…non riuscivo a fare niente che non fosse prolungare quel momento quanto più a lungo possibile. E quando mi fu chiaro di vivere nella realtà, trattenere le lacrime divenne impossibile. Piansi…come non mi era mai capitato.
Lei sollevò le mani verso il mio volto e asciugò le lacrime che scendevano. "No…" mi disse "ricordati chi sei". Ricordarmi chi ero…dovetti farlo. Da sempre la forza e il coraggio dei berserker è ciò che fa dormire sonni tranquilli alla gente di Rashemen. Ma è forse una mancanza di coraggio mostrare di amare la propria donna? O semplicemente ho trascorso troppo tempo in compagnia degli Elfi? Non lo so… quello che so è che mi sentii come rinascere una seconda volta. 


Ci sentimmo imbarazzati quando qualche passante si fermò a guardarci interdetto. Gli occhi di un estraneo ci avrebbero certamente giudicato esagerati dal momento che quasi certamente mai avrebbero visto un bacio più appassionato di quello che io e Yun eravamo intenti a scambiarci. E nonostante le fosse stato raccomandato di non curiosare…anche Rannik era lì a godersi la scena. Piccola curiosa!
Lasciammo che quel momento scemasse. Il momento, ma non le sensazioni. Entrambi eravamo come pervasi da un'energia che ci portava a desiderare di averci a fianco l'un l'altra, ma lei aveva il suoi compiti da portare a termine e io dovevo per lo meno andare a salutare mia madre, mio padre e mia sorella, i quali erano certamente stati in pena per me tanto quanto Yun.
Ritrovai gran parte di loro alla Loggia, una seconda casa per ogni berserker. La prima che mi si fece incontro fu proprio Freyda, mia sorella minore. C'è chi dice che sia la mia copia al femminile. Ed in effetti il colore dei nostri capelli e quello dei nostri occhi è identico in entrambi e anche le maniere, certamente, evidenziano parecchie somiglianze. Fui felice di notare che il poco tempo durante il quale fummo separati non l'aveva cambiata minimamente. E lei me lo dimostrò dandomi un pugno, poiché ero colpevole del fatto di non aver avvertito nessuno del mio ritorno. Subito dopo si gettò tra le mie braccia come ogni sorella affezionata. 
Dovetti passare attraverso una fitta rete di brutali saluti da parte degli altri berserker, ma la cosa non mi dispiacque affatto. In pochissimo tempo ripresi le mie abitudini e tornai alla mia vecchia vita. E' inutile che io dica che una loggia di combattenti non è esattamente il più raffinato degli ambienti, per cui ai più potrebbe sembrare soltanto una congregazione di selvaggi intenti a mostrare il peggior lato di sé stessi. Invero dico: che gli estranei pensino quel che vogliono. Noi siamo semplicemente noi stessi. Forti, fieri, indomiti, duri. La nostra forza deve proteggere la nostra gente e i nostri cuori non devono mai esitare. Per questo ciò che ricevette un figlio da parte di suo padre, in quell'occasione, fu un semplice ma confortante "bentornato, figlio mio". 
Se mi stessero aspettando o meno non mi è ancora chiaro, ma in fondo che importanza può avere? C'era l'intera adunanza dei guerrieri della città e tutti hanno voluto udire le storie che avevo da raccontare riguardo alla Costa della Spada e ai nemici sconfitti lì. Com'è strano…grida, canti, vino a volontà, il mio nome gridato mentre pomi d'arma e boccali sbattevano violentemente sui tavoli. Osannato…come un eroe. Come fu per mio padre quando riuscì ad abbattere l'ultimo troll dei ghiacci, così ora era per me. Jurak, Forovan, Lena, Yulia, Nak'kai…tutti omaggiavano le mie imprese. O meglio, lo fecero fin quando non ebbero troppo vino nello stomaco e crollarono tutti in un sonno profondo.
Trascorsero due ore abbondanti prima che riuscissi a sgattaiolare via di lì. Freyda si era occupata per tempo di condurre Rannik a casa dei miei genitori. Quando anche mio padre ebbe lasciato la loggia allora, in silenzio, me ne andai anche io. Yun mi aveva chiesto di andare a prenderla a casa di Annika. Lei era andata ad assisterla poiché è da poco diventata madre ma non potevo certo immaginare di rimanere intrappolato alla loggia. Sapevo quindi per certo che non poteva ancora essere lì, così come sapevo che sarebbe anche andata a cercarmi a casa. Infatti era tornata alla sua di casa, ed era lì poco fuori la porta a sonnecchiare su una sedia. Si era praticamente addormentata aspettando che io tornassi. Mi venne da sorridere…avrei potuto restare lì a guardarla per ore ma non era ciò che volevo. Volevo riprendere da dove eravamo stati interrotti. Si, perché non mi contenni certo per la cura che avevo del giudizio altrui, quando la rividi dopo il mio ingresso in città. Mi contenni perché volevo condividere quel momento solo con lei, e con nessun altro neppure un casuale osservatore.
La presi tra le mie braccia e la portai all'interno della sua piccola dimora. Piccola ma non per questo meno accogliente. La posai sul letto mentre le parlavo credendo che fosse addormentata, invece era più che sveglia, tanto da farmi notare il mio enorme ritardo. In un certo senso fui lieto di apprendere che non aveva nessuna memoria della sua prigionia. Tutto quello che ricordava era la mia voce, il mio volto, il nostro amore e la statuetta di legno che le avevo mandato tempo addietro, e che aveva contribuito a donarle una nuova fede e la forza per resistere al suo supplizio. Io, dal canto mio, ricordavo tutto. Ricordavo perfettamente ogni attimo di quello che lei passò nelle mani dei suoi carnefici…poiché definirli genitori sarebbe un insulto a tutti gli altri genitori di questo mondo. Ricordo…vividamente…quell'ultima lettera che mi scrisse usando il sangue. Il suo sangue. E al solo pensiero il mio ribolle! 
Lei mi chiese di raccontarle ciò che sapevo…ma io rifiutai. Non era quello il momento di rievocare un passato doloroso. Quello era il nostro momento e né io né lei volevamo che si sciupasse. Ora che eravamo soli potevo finalmente stringerla a me senza dovermi curare di occhi indiscreti…potevo sussurrarle ciò che provavo e che provo senza che qualcuno mi ritenesse un debole. Potevo dismettere i panni del berserker ed essere semplicemente un uomo innamorato.

Lei aveva conservato parte della sua timidezza. Le sue guance divennero rosse quando mi domandò di togliermi di dosso la tunica. Fu solo questione di tempo prima che quella strana energia tornasse a pervaderci. Non si era sopita per nulla…anzi si era amplificata a dismisura. Che strana sensazione provai in quei momenti. Non che non avessi mai avuto una donna nel mio letto prima, eppure mi sentivo quasi insicuro. Forse perché non avevo mai amato nessuna come amo lei, per questo quelle sensazioni mi giungevano così nuove…ma non volevo…non volevamo che finissero. La desideravo e lei desiderava me e non ci mettemmo molto a lasciarci travolgere. Lei era fuoco…un oceano di fuoco, fiamme e passione. Facemmo l'amore…incuranti di tutto…del tempo, dello spazio, dei nostri gemiti. Lasciammo che ogni emozione esplodesse e che null'altro avesse importanza. Non credo di aver mai provato nulla di così intenso…e quando tutto fu consumato…furono consumate anche tutte le nostre energie. Quanto tempo fosse passato non so dirlo e in fondo non ha mai avuto rilevanza. Ma qualche grammo di forza residua per un gesto di affetto mi era rimasto e lei sembrava esserne ben lieta.


Avrei solo voluto che il resto della notte fosse trascorsa in un sonno rilassante. Ma non fu così. Terribili immagini colsero la mia mente fino a spezzare il mio riposo. Mi svegliai terrorizzato…avevo rivisto quei momenti…gli stessi di quando apprendevo del martirio di Yun. Ma stavolta io ero lì. Nel mio sogno io ero in quella cittadella e potevo vedere e sentire ogni cosa. Non ho mai veduto quel luogo né i volti dei suoi tre carnefici…eppure erano così vividi, così reali. E come in ogni incubo, in cui non siamo che vittime delle nostre paure, io non avevo il potere di impedire quello che stava accadendo. Vidi sua madre trafiggerle il petto con quel pugnale mentre elevava canti e preghiere al suo Nero Tiranno. E quando infine io riaprii gli occhi…sentii Yun singhiozzare. Come faccio a saperlo non mi è chiaro, ma sono certo che avesse visto ciò che io avevo visto. Persino nei nostri sogni quei maledetti ci tormentano. Per gli dei, non ho atteso tutto questo tempo per tornare qui e vivere nella paura di perdere tutto di nuovo. 
La pagheranno quei maledetti! Dovessi andare ad assediare quella cittadella da solo e dovessi sbriciolarne pietra per pietra ogni dannato angolo, io li troverò. Li annegherò nel loro stesso sangue e metterò fine a questa agonia una volta per sempre. Come promisi…la Morte passerà loro a far visita. Molto presto.

lunedì 7 maggio 2012

Frammenti di vita...


Sono certo che se un elfo che era solito chiamarmi Amico potesse leggere questo scritto, quasi certamente si metterebbe a ridere. Due anni di vita lontani da Rashemen per me sono somigliati a quanto di più simile ad un'eternità ci possa essere, mentre per loro sono paragonabili a pochi istanti. Cosa potranno mai essere, del resto, due anni a fronte della speranza di viverne quasi mille…
Fu un confronto molto acceso quello sul tempo e in effetti il primo argomento di scontro con il Popolo Fiero sin dai primi momenti del mio arrivo nella Costa. Ricordo perfettamente di una coppia di elfi, l'uno spocchioso e arrogante come la maggioranza dei suoi simili, l'altra molto più simile a me invece. Forse è per questo che giunsi a considerarla quasi come una seconda sorella. Spesso tendeva anche a non condividere la maggior parte dei pensieri della sua gente, fra tanti quello secondo cui "per gli Elfi gli Umani sono solo di passaggio…". Centinaia di anni di isolamento e di prosperità della loro cultura tra i loro soli simili hanno indotto gli Elfi a dimenticare forse come ci si debba rapportare con esponenti di altre razze, dal momento che non esiste uomo sulla terra che non trovi tale pensiero offensivo. E primo tra tutti io…o almeno io come ero a quel tempo. Non mi feci certo pregare per vomitare addosso a quell'elfo una tale mole di insulti così fiorita da fare invidia persino a Freyda nei suoi giorni più ispirati, così come non mi feci pregare per mostrargli la mia forza alla prima occasione utile. Col tempo divenne tale il mio rapporto con gli Elfi, anche se in un senso certamente più nobile e buono. Ci si rese conto che si aveva molto da condividere, l'uno a beneficio dell'altro e fu una donna elfica appartenente alla stirpe del Sole, Nailean dei Mraerital, a farmi da mentore in questo senso.


Nailean…è difficile dire cosa sia stata per me. I ricordi di lei in vita sono vividi nella mia mente e credo che mai si affievoliranno, sebbene occupino un tempo piuttosto breve. Sono stati pochi…pochissimi i mesi che potei trascorrere in sua compagnia ma assieme a lei viaggiai alla scoperta di una civiltà praticamente sconosciuta e che sarebbe divenuta a me cara. Fu lei ad insegnarmi la lingua degli elfi e fu lei, per la prima volta, a dichiarare la nostra amicizia. Ricordo quelle parole come se lei fosse qui e le avesse appena pronunciate: "Io sono Nailean dei Mraerital, futura Coronal della Costa della Spada. E ti ho chiamato Amico". E' rara una simile dichiarazione da parte di un nobile elfo, ma è assai più raro, nella loro cultura, che a qualcuno che non appartenga al loro popolo venga attribuito un nome nella loro lingua. A quanto pare meritai anche questo e mi venne attribuito il nome di Therandae, che tradotto in lingua Comune significa "la spada che protegge il Cielo". 
Il mio legame con Naielan era molto forte. Lei aveva fatto sì che io e la sua gente coltivassimo una preziosa amicizia e senza il suo apporto non sarebbe mai stato possibile. Non ho remore ad ammettere che significasse qualcosa per me, ma non oserei certo dire che potessi sentirmene attratto. Gli Elfi e gli Umani sono molto diversi…in effetti troppo diversi per poter condividere una vita assieme come compagni, e i figli di queste unioni spesso sono rifiutati da ambo le parti. Agli elfi sembrano troppo umani e agli umani sembrano troppo elfi. Con quale coscienza si può mettere al mondo qualcuno condannato a questa vita? Ecco perché allontanai immediatamente quel pensiero. Ma ciò non toglie che fu un duro colpo per me apprendere della sua prematura scomparsa. Riportarono il suo corpo privo di vita a quella che una volta era solo la dimora della sua Casata e lì la vegliammo, prima di celebrare il suo viaggio verso Arvandor. Mi ha stupito apprendere che gli elfi non sono soliti piangere i loro morti, poiché essi abbandonano questo mondo solo per raggiungerne uno migliore. Arvandor appunto, la dimora della Corte di Corellon, loro Signore e Creatore, e con lui e con il resto dei Seldarine ora lei avrebbe camminato, senza dover più temere niente. 
Noi piangiamo i nostri defunti, poiché riteniamo che la Morte li abbia strappati al nostro affetto. Loro si rallegrano di una scomparsa, che sia naturale o prematura, perché è il portale d'accesso ad una vita migliore. Una vita che sono certi condivideranno tutti un giorno o l'altro. E questa certezza fornisce loro una coesione che per noi uomini, lacerati e consumati da continui conflitti a volte privi di senso, è assolutamente incredibile o forse ipotizzabile nel più remoto dei sogni. Inoltre c'è un altro fatto che merita di essere narrato, anche se la sua spiegazione mi sfugge e di certo meriterebbe molto di più che una breve nota al margine di una memoria. Lei…mi apparve in sogno. Proprio quella notte. Vi era un verde paesaggio, carezzato da un lento ma costante movimento dell'aria. Il cielo era azzurro e regnava un'armonia fuori da ogni comune esperienza, e un tripudio di colori molto simile a quella che definiremmo un'aurora si ergeva sulle cime montuose, oltre una sconfinata foresta. Ero certo di non aver mai messo piede in quel luogo incantato, ma ero altresì certo che si trattasse di Arvandor. La vidi a pochi passi da me, intenta anche lei ad ammirare quel nuovo reame ma non ci mise molto ad accorgersi di me. E mi si gettò tra le braccia dandomi il benvenuto…e un bacio…con una passione che non credevo certo potesse appartenerle. Mi disse che avrebbe potuto amarmi, o che forse lo aveva già fatto in vita. E mi donò un anello, con la promessa che quando anche io avessi raggiunto i regni degli Dei, allora tutto ciò che non mi aveva detto sarebbe infine stato palesato.
Un sogno come un altro, forse con un senso o forse no. Sta solo di fatto che quando mi svegliai quell'anello era nelle mie mani. Ed era vero. Un oggetto esistito in un sogno, in qualcosa che credevo unicamente nei miei pensieri, ora era reale…materiale. Di quale grande verità è portatore un fatto simile! Comprendere il reale potere dei sogni è qualcosa che sfugge alla nostra comprensione, e certamente alla mia. Cosa posso fare se non augurare alla mia amica un sereno viaggio verso la Corte di Corellon…


La realtà non ci mise molto a reclamare il suo spazio e io dovetti smettere quasi immediatamente di perder tempo a porre domande di cui non avrei mai potuto avere la risposta. Come ho già avuto modo di esporre, il bosco di Neverwinter conobbe ben pochi momenti di serenità. Si susseguirono eventi che segnarono quel posto per sempre. Una maledizione vecchia di ottocento anni si abbattè sulla foresta, a causa di un patto che un vecchi regnante elfico strinse con un mago senza scrupoli, divenuto un Lich. Bordug, questo il suo nome. Un essere dal grande potere in grado di richiamare a sé un'energia negativa che sembrava in grado di soverchiarci tutti e che poteva armare un esercito di mostruose creature. Come facemmo a riportare una vittoria ancora oggi non mi è chiaro, ma qualcosa mi dice che è meglio non chiedermelo. La verità è che lo sconfiggemmo e lo relegammo al regno dei morti al quale apparteneva. Mai più avrebbe fatto ritorno e mai più avrebbe rivendicato il possesso di quelle terre.
Ma non era la fine, certamente no. Il bosco di Neverwinter era una sorta di paradiso per chi come me combatte sin dalla sua nascita. Vi si poteva passare tutto il giorno a brandire armi, abbattere nemici, banchettare la sera e il giorno dopo ricominciare a combattere. Eppure decine di volte sono giunto a definirlo come un inferno e a ritenere che Mielikki non avesse nessun interesse in quel luogo. E così dopo Bordug giunse il tempo in cui gli abitanti della foresta e quelli della città furono sul punto di imbracciare le armi gli uni contro gli altri. Arrivò un terribile inverno e molti degli abitanti di Neverwinter rischiarono di morire per il gelo spietato che iniziò a flagellare la Costa della Spada. Accadde poco prima che accompagnassi Yun a Luskan, per darle modo di prendere la nave che l'avrebbe ricondotta al suo luogo di origine. Ancora una volta, se l'avessi evitato ora molte cose sarebbero diverse, a cominciare dal fatto che la sua memoria sarebbe intatta invece che frammentata e che la maggior parte dei suoi sonni sarebbero tranquilli, anziché essere torturati da indicibili incubi che riconducono la sua mente alla prigionia. Persino ora, mentre la penna che tengo in mano si muove per scrivere queste parole, la sento agitarsi e singhiozzare. Il cuore mi si stringe…la colpa è mia. Solamente mia.


Il porto di Luskan era la più grande accozzaglia di criminali che avessi mai potuto vedere con i miei occhi. Non misi mai volentieri piede in quella città poiché sapevo che sarebbe stata lesta a risvegliare la parte peggiore di me. Una parola di troppo, uno sguardo errato, un gesto non rassicurate e tutto sarebbe finito nel sangue e nello stridore di metallo. Ho preferito evitare un simile accadimento e trattenermi in città per il tempo strettamente necessario. Poco dopo che la nave di Yun salpò, questione di una o due ore forse, feci una strana conoscenza. A volte il destino ha davvero il senso dell'umorismo. Un maledettamente sviluppato senso dell'umorismo aggiungo, perché quell'incontro mi avrebbe condizionato per molto tempo. E non sto parlando di quella conoscenza che io e Yun avevamo in comune, tale Sachiko. Una donna ti thay, più volte invitata da Yun a non rivelare la sua origine di fronte a me. Un avvertimento vano, giacchè si palesò sia come thayan sia come adepta dei Maghi Rossi. In altre parole si dipinse un grosso bersaglio sul petto invitandomi ad affondare la spada nel suo cuore. E parole d'onore…l'avrei fatto presto o tardi. Ma come detto non si trattò di lei quel giorno, ma di un'altra donna che si presentò come Selenia Monroe. Cosa ottenne da me quel giorno se non una fugace occhiata e un disinteressato saluto. Non avevo nessun interesse a fare nuove conoscenze.
Dovette passare molto tempo prima che io e lei potessimo aver modo di incontrarci di nuovo, seppure accadde per un caso fortuito. Da sempre la foresta, o meglio tutte le foreste in generale, non sono un luogo ove potersi avventurare per trascorrere il tempo. Neppure il più saggio dei viventi sa cosa possa annidarsi nel cuore dei regni della natura, quando gli alberi diventano così maestosi e i loro rami così lunghi e fitti a tal punto da oscurare il sole. Ma lei lo fece…la ritrovai nei pressi della cascata che alimenta Fiume Tiepido, un affluente del Neverwinter che come il fiume principale aveva la caratteristica di essere riscaldato da una comunità sotterranea di Elementali del Fuoco. Fu allora che ebbi modo di conoscerla un po' meglio, nel mio ambiente congeniale e lontano da tutte le frenesie e complicazioni proprie del "mondo civile". Fu lei a riconoscere me…mi ero persino dimenticato di averle detto il mio nome in città quel giorno così come mi ero dimenticato di averle detto il perché della mia presenza al porto. Cercava la via per il Rifugio e mi offrii per accompagnarla, evitandole di percorrere altre miglia a vuoto col rischio di essere divorata viva da qualche bestia notturna.
Che dire…credevo fosse l'ultima volta che l'avrei rivista. Ma torno a ripetere che il destino ha molto senso dell'umorismo. Mentirei se dicessi che non era bellissima e maledettamente attraente. E lei sembrava saperlo per di più. Anzi…lo sapeva benissimo. La incontrai molte volte ancora, il più delle quali per tirarla fuori dai guai che combinava smarrendo la via all'interno del bosco. Mi disse che quel luogo, seppur con le sue complicazioni, le offriva una via di fuga dalla vita di città, all'interno della quale era costretta a guardarsi continuamente le spalle dai suoi nemici. Non feci neppure in tempo a domandare chi fossero che lei replicò con un secco, ma cortese: "Per favore, non fare domande". E perché avrei dovuto? Dopotutto perché interessarmi ai suoi nemici se era lei la prima a non voler palesare più di tanto la cosa? E poi chi poteva immaginare che quella persona, anche se in modo inaspettato, potesse entrare a far parte della mia vita?


Ci ritrovammo ancora una volta al rifugio, una sera, per ripararci dalle intemperie che flagellavano l'esterno. Era presente anche un altro uomo, uno che sembrava quasi provenire da Kara-Tur, palesemente ubriaco o comunque molto prossimo a quella soglia. Iniziò a fare dei pesanti apprezzamenti sul corpo di Selenia. Non che avesse torto ovviamente, quella donna avrebbe mozzato il fiato a qualsiasi uomo. Non serve certo la vista degli elfi per accorgersi di aver di fronte qualcosa di bello. Ma lei, tuttavia, sembrava non gradire affatto quelle attenzioni. Attenzioni che presto presero una piega sbagliata e indussero lei a difendersi, lui a reagire e me a intervenire. Più e più volte intimai a quell'uomo di abbandonare il rifugio…ma gli ubriachi possono essere molto più duri di comprendorio di me a volte, e mi ignorò. Ma io non potei più ignorare lui quando colpì Selenia così forte al punto di tramortirla. Permettere che un simile individuo potesse liberamente vagare per il bosco era fuori discussione e mi decisi ad affrontarlo. Non so se fosse abile o semplicemente fortunato per via del suo stato. Sta di fatto che quel pazzo combatteva dannatamente bene e sta anche di fatto che, facendomi ingannare dalle apparenze, io lo sottovalutai. Era bravo a schivare la mia lama e non fu affatto semplice colpirlo. Mi ridusse al suolo persino ma alla fine, cedendo alla collera, ne ebbi ragione. Quale amara vittoria fu quella per me. La più insensata delle mie vittorie la definirei ora. Non lo avrei certo ucciso se fossi rimasto lucido me per i Nove Inferi…io ridotto al suolo da un uomo ubriaco! Per quanto non fossi più da tempo l'egoista innamorato della gloria che ero stato, mai il mio orgoglio avrebbe potuto sopportare un'onta simile. La mia forza divenne incontrollata sotto l'adrenalina che mi scorreva nel sangue, e la mia lama finì per trapassargli il cuore colpendolo a morte. Lo ripeto ancora una volta: una vittoria che lasciò l'amaro in bocca. Selenia mi si avvicinò e si offrì di medicarmi le ferite, oltre ai ringraziamenti per essermi battuto per lei. Lei…preferii non identificarla come la causa di tutto. La mia rabbia aveva già versato sangue a sufficienza. La allontanai da me e andai a seppellire quell'uomo, pregando Mielikki di vegliare sull'anima di quello sventurato e di perdonare il mio errore. Ma non fu così…dovevo pagare lo scotto del mio sbaglio. Quando tornai all'interno del rifugio per trovare un po' di riposo lei era ancora lì. E stavolta accettai di lasciarmi medicare. 
Lei sembrava provare un piacere perverso nell'infliggere dolore agli altri. E tentò di farlo anche con me. Ma è una pratica che non gradisco e glielo dimostrai apertamente. Giunsi quasi a strangolarla, col sorriso sulle labbra, e la promessa che se si fosse permessa di torturare una mia ferita anche solo con un'unghia le mie dita le avrebbero spezzato il respiro e sarebbe stata la mia seconda vittima quella serata. Lo capì. Non era una stupida e non lo era mai stata. Comprese fin dove poteva arrivare e non osò oltre. Non in quella direzione almeno. Le sue intenzioni divennero sempre più palesi man mano che mi medicava le ferite e per quanto una mente e un cuore possano essere saldi e forti, è raro che la carne lo sia altrettanto. Il suo tocco mi tentava…e io finii per cederle. 


Fu la mia amante, e io fui il suo. Non per un lungo periodo in effetti, dal momento che le notti che trascorsi con lei potevano essere contate sulle dita delle mani. E mi sembra strano tutt'ora come spesso mi ritrovassi a parlare con lei della mia vita. Di Rannik, di Yun e di quello che provavo per loro. Lei comprese immediatamente che soppiantarla nel mio cuore era impossibile. Avrebbe potuto avere il mio corpo, ma il resto le era precluso. Lo accettò. Non le interessavano i miei sentimenti…le interessava avere una sorta di amico, magari con cui abbandonarsi ai piaceri della carne di tanto in tanto. Qualcuno che potesse salvaguardare la sua vita se fosse stata in pericolo o che potesse offrirle un rifugio sicuro quando le mura della città divenivano troppo opprimenti e l'aria al loro interno troppo asfissiante. Oppure…una spalla su cui piangere quando la disperazione diveniva insopportabile. E furono molte le occasioni in cui dovette approfittare di ciò. 
Mi narrava spesso della sua turbolenta vita, delle due personalità che convivevano nel suo corpo e nella sua mente e della sua ossessione per suo padre, che a volte giungeva a sfiorare la follia. Quando mi rivelò chi fosse in realtà molte cose divennero più chiare e spiegabili per me. Salix Sunshine, la figlia del noto personaggio di Luskan. Condannata dal suo nome sin dalla sua nascita e addirittura anche prima. Comprendere la sua tristezza e le sue paure divenne sempre più semplice per me. 


Col tempo coltivammo qualcosa in più di un semplice rapporto carnale. Giungemmo a considerarci amici e a condividere piccole parti delle nostre vite. Imparai a conoscerla e lei imparò a conoscere me. La ricordo come un'affezionata amica ora, e mi trovo di tanto in tanto a domandarmi come stia e cosa stia facendo.
Invero non comprendo neppure come io possa essere qui, a scrivere di Salix mentre Yun è qui al mio fianco che ha finalmente ritrovato un sonno sereno. Quello che mi ero ripromesso devo farlo. Yun deve conoscere questa mia debolezza, sebbene sia durata poco. Perché? Non lo so ancora. Forse perché ammetto sempre i miei errori, specialmente con le persone a cui tengo. Per gli dei persino Salix cercò di dissuadermi dal farlo ma non vi riuscì. Io non desidero che la vita futura con Yun sia figlia di una menzogna. Desidero poterla guardare negli occhi senza dovermi vergognare. Lei è morta per me. Io le devo la mia sincerità…e la mia devozione.